Cronache

'Ndrangheta, chiusa un'azienda agricola vicina al clan Mancuso

Operazione dei Nas dei carabinieri in Calabria. Riscontrate all’interno dell’attività derrate alimentari in carenti condizioni igienico sanitarie

'Ndrangheta, chiusa un'azienda agricola vicina al clan Mancuso

Scacco alla ‘ndrangheta nel sud d’Italia, in particolare a Limbadi, comune calabro. Chiusa un’azienda agricola-zootecnica e passate al setaccio due attività commerciali. La saracinesca è stata abbassata a una società che fa capo alla famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso a cui viene addebitata l’attivazione e la conduzione di deposito derrate alimentari, nonché carenze igienico sanitarie.

Amministratore unico dell’azienda è un figlio di Mancuso, Giuseppe, detto “Peppe ‘mbrogghia” classe 1949, detenuto in regime carcerario 41 bis, capo di una delle articolazioni ‘ndranghetiste di Limbadi. I carabinieri del Nas, infatti, hanno riscontrato che all’interno della struttura in questione c’era un deposito di derrate alimentari in carenti condizioni igienico strutturali, nonché carenze documentali, visto che mancava la Scia/Dia sanitaria.

È stata disposta quindi la chiusura e sospensione dell’azienda. Un colpo inferto alle mafie che vale circa 75mila euro. Per altre due attività commerciali controllate (nello specifico due supermercati), in una è stato accertato un lavoratore in nero e, pertanto, rilevate violazioni amministrative per circa 3mila e 600 euro. La minuziosa attività di controllo - di cui sono titolari i carabinieri - rientra nei servizi disposti dalla Divisione Unità Specializzate del Comando Generale dell’Arma, nell’ambito del programma “Anti caporalato 2019”.

È ancora ‘Ndrangheta anche in Piemonte dove le holding del narcotraffico spopolano in collegamento con la Calabria e l’hinterland milanese. Pochi giorni fa 400 uomini del comando provinciale dei carabinieri di Torino hanno eseguito dall’alba 70 arresti tra i componenti delle famiglie Agresta e Assisi, capi locali di Volpiano e San Giusto Canavese, considerati i più potenti narcotrafficanti tra l’Italia e il Sud America. L’ordinanza firmata dal gip di Luca Fidelio, porta in carcere i capo clan delle famiglie Agresta, Catanzariti e Assisi, tra cui il nome più importante è quello di Nicola Assisi, rimasto latitante per anni in Sudamerica, arrestato a luglio a Praia Grande, una località balneare nello Stato di San Paolo, in Brasile insieme al figlio Patrick.

Lì, nonostante i sequestri della giustizia italiana che lo cercava dal 2014, viveva nel lusso. Possedeva tre appartamenti con piscina e aveva una stanza segreta in cui nascondeva il denaro, enormi quantità tanto che gli investigatori hanno preferito pesarlo anziché contarlo: erano 20 chili. La cocaina era la sua specialità, quella che secondo le sentenze faceva arrivare a quintali in Italia, agli intermediari della ‘ndrangheta in Calabria, Piemonte e Lombardia.

L’operazione in questione si è rivelata l’atto finale delle indagini di diverse forze di polizia, che hanno come comune denominatore le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Agresta, il padrino ragazzino che a 29 anni aveva già scalato le gerarchie della locale di Volpiano ma che a ottobre del 2016, dal carcere di Saluzzo dove stava scontando 30 anni per omicidio, ha dato una svolta alla sua vita cominciando a collaborare con i magistrati di Torino, Monica Abbatecola e Paolo Toso.

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