Cronache

Non è discriminazione vietare il burqa in pubblico

Non è discriminazione vietare il burqa in pubblico

Tempi duri per chi come l'Asgi - l'Associazione studi giuridici sull'immigrazione finanziata dalla Open Society del miliardario George Soros - tenta di imporci non solo l'immigrazione fuori controllo, ma anche l'accettazione di un «burqa» simbolo della discriminazione e dell'alienazione femminile. La Corte d'appello di Milano ha infatti respinto le recriminazioni dell'Asgi e delle altre quinte colonne dell'integralismo islamista (Avvocati per Niente Onlus, l'Associazione Volontaria di Assistenza sociosanitaria e per i diritti dei Cittadini stranieri, Rom e Sinti e Fondazione Guido Piccini per i Diritti dell'Uomo Onlus) protagoniste della battaglia legale contro una Regione Lombardia «colpevole» di aver approvato, nel 2015, la delibera che vieta, per ragioni di sicurezza, l'ingresso alle donne con il burqa in luoghi pubblici. Sottoscrivendo la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Milano il 20 aprile 2017 la Corte d'appello ribadisce che «il divieto di ingresso a volto coperto posto nella delibera appare giustificato e ragionevole alla luce della esigenza di identificare coloro che accedono nelle strutture indicate, poiché si tratta di luoghi pubblici, con elevato numero di persone... pertanto è del tutto ragionevole e giustificato consentire la possibilità di identificare i predetti fruitori dei servizi». Le donne, in base alla sentenza, devono, dunque, non solo togliere velo o il burqa per garantire l'identificazione, ma anche mantenere il volto scoperto durante tutta la permanenza nei luoghi pubblici. Un totale disconoscimento, insomma, delle ragioni di chi, in barba alle basilari regole della convivenza, pretende che la nostra società si pieghi ai codici dell'islam più fanatico ed estremista. «È alquanto strano - commenta l'assessore per la sicurezza Riccardo De Corato - che associazioni per i diritti degli indifesi si battano per il riconoscimento del burqa, pratica alquanto discriminatoria verso le donne, considerate di proprietà esclusiva dai loro compagni musulmani al punto che nessun altro le può guardare». Singolari, invece, le argomentazioni del presidente del centro islamico Milano-Lombardia Ali Abu Shwaim che contraddicendo un'evidente realtà nega l'esistenza di famiglie o comunità islamiche pronte a imporre alle donne il burqa o velo integrale. «Non vedo nelle strade di Milano e della Lombardia sostiene Shwaim - donne che indossano il burqa. Le leggi vanno fatte quando c'è un problema, ma se il problema non c'è non ha senso... Io non conosco nessuno che a Milano mette il burqa».

Sul fronte migranti vanno registrate invece le reazioni di fonti del ministero dell'Interno alla notizia, lanciata dal quotidiano tedesco Die Welt, e ripresa da Il Giornale, secondo cui il governo Conte avrebbe accettato la richiesta tedesca di riprendere le deportazioni di massa dei cosiddetti «dublinanti», i migranti irregolari arrivati nel nostro Paese e poi transitati in Germania. Secondo il Viminale l'Italia si sarebbe limitata a riconoscere la «legalità» di una posizione tedesca giustificata dal Trattato di Dublino, ma non avrebbe accettato la pretesa della Germania di rispedirci ogni trenta giorni due charter con 25 «dublinanti» ciascuno, per complessivi 50 «deportati» al mese.

Il vero punto politico della vicenda sta però nel titolo dell'articolo di Die Welt che recita «Bilancio-Dublino: deportazioni di massa verso l'Italia nel 2019? Zero». Quel titolo riconosceva la ferma opposizione politica esercitata durante il mandato agli Interni da un Matteo Salvini sempre pronto ad opporsi politicamente alle deportazioni di massa pretese dalla Germania.

Esattamente l'opposto di quanto fa il governo giallorosso che da una parte implora Berlino di bloccare i charter per salvarsi da ulteriori perdite di consensi, ma dall'altra ne riconosce la piena legittimità di quello strumento.

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