Donald Trump

Chi ha paura del decisionismo?

Chi ha paura del decisionismo?

La democrazia funziona quando a decidere sono in due e uno dei due è malato. Questa battuta, provocatoria, è di un signore che ha speso tutte le sue energie politiche per resistere al nazismo. Non era un santo. Troppo sicuro di sé, troppo presuntuoso, con il vezzo di sbattere il proprio genio in faccia ai propri interlocutori, soprattutto a quelli del suo partito. Si chiamava Winston Churchill e di certo non era un populista. Solo che conosceva gli uomini, l'arte di governare e i paradossi della democrazia.

Non si sa cosa avrebbe pensato il buon vecchio Churchill di Donald Trump. Il presidente degli Stati Uniti è pur sempre uno che ha troppi nonni tedeschi. E poi per un uomo che ha visto tramontare l'impero britannico il rispetto della forma è l'ultimo simulacro di un mondo perduto. A tutti quelli che però tendono a demonizzare Trump avrebbe ricordato una cosa: attenzione perché così state scarnificando anche lo spirito, o il demone, della democrazia. Si può anche non essere d'accordo con le politiche di Trump, ma l'errore più fatale è delegittimare il suo ruolo. Ed è proprio quello che sta accadendo.

Trump non viene dal nulla. Non ha preso il potere con un colpo di mano. Si è mosso da outsider all'interno di una democrazia solida. Ha scalato il Grand Old Party stracciando tutte le gerarchie. Ha sfidato e vinto contro una ex first lady e con una maggioranza non risicata. Si può detestare, ma di certo non si può dire che il suo potere sia illegittimo. È un miliardario newyorchese, ma il suo consenso arriva dall'America profonda e periferica e le democrazie non prevedono ancora una patente per il voto. Adesso, capite, non si può dire a tutta questa gente che il suo voto è sporco, non vale nulla. Non si può perché Trump non ha ingannato nessuno. Le sue scelte, buone o oscene che siano, rispecchiano il suo programma. A quanto pare lo hanno votato per quello. È quello che vogliono. Non si rendono conto? La prossima volta potrebbero dire la stessa cosa se a vincere saranno gli altri, i presentabili, i «buoni». In democrazia c'è una cosa che non puoi fare, mettere con le spalle al muro le opinioni di elettori che non stanno tradendo la Costituzione. Altrimenti si arriva al muro contro muro, ai due popoli, alle due razze, alle due schiatte. È il principio della guerra civile, quando il gioco della politica lascia il posto al bianco e nero della violenza.

Quello che fa paura, dicono, è il potere in mano a un uomo imprevedibile. È lo spettro dell'uomo forte. Ma la storia della democrazia è lastricata di personaggi che vanno fuori rotta, che deviano, che deragliano o che prendono sentieri impervi, non necessariamente malvagi. È piena di uomini e donne forti e imprevedibili. Le buone democrazie, però, hanno risorse e contrappesi che le tengono in vita. L'America li ha. Il più forte è la legge, quella suprema e sacra. Il potere del presidente degli Stati non è assoluto. E l'America è stata più forte di chi, nel bene o nel male, ha deragliato dalle opinioni delle élite correnti. Questo vale per i democratici come per i repubblicani. Jackson ha strappato, Wilson ha strappato. I due Roosevelt hanno strappato. Kennedy ci ha provato fino a portare, con la Baia dei Porci, il mondo sull'orlo di una guerra nucleare. Lo ha fatto Reagan e, in qualche modo, Clinton, a cui si deve la costruzione del muro messicano. Ogni volta è stato pagato un prezzo più o meno alto, e in un caso la cicatrice è ancora lì, visibile sulla linea Madison-Dixon. È la ferita di un boscaiolo dell'Ovest con sentimenti alti e nobili, ma che non è riuscito a evitare il massacro della guerra civile. È Abramo Lincoln e ha pagato con la sua vita. È successo in Europa con lo stesso Churchill, che fu poi mandato a casa dopo aver vinto una guerra. E poi con la Thatcher e con Blair, con la quarta Repubblica francese di De Gaulle, con le scelte solitarie di Kohl dopo la caduta del Muro di Berlino, perfino nella Dc italiana, partito che ha sempre diffidato dell'uomo forte, con il compromesso storico di Moro, e lì c'è il seme politico della sua morte, con le speranze di Berlusconi e perfino con gli azzardi di Renzi.

I rischi nell'avventura di Trump non sono nella sua maschera di uomo forte. Non è questo il punto debole della democrazia. È più in profondità. È nel principio di legittimazione, vitale per ogni potere. È nella domanda che sta alla base della democrazia. Non chiederti chi deve governare, ma come controllare chi governa. Il paradosso finale allora è questo. Non chi governa, ma chi controlla.

Non è tanto di Trump che dobbiamo preoccuparci, ma della saggezza di chi fa opposizione.

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