Cronache

Quelle moschee invisibili dove l'islam radicale dilaga

In Italia ci sono almeno mille luoghi di culto abusivi. Qui il rischio di radicalizzazione è altissimo. Forza Italia chiede regole certe per stroncare il fondamentalismo islamico: "Serve un albo per le moschee e per gli imam"

Quelle moschee invisibili dove l'islam radicale dilaga

Istituzione di un Albo delle moschee italiane e di un altro Albo per gli imam abilitati a svolgere funzioni di guida del culto islamico. È il cuore delle proposta di legge di Daniela Santanchè e di Elio Palmizio il cui iter parlamentare è iniziato oggi in Commissione Affari costituzionali della Camera. La proposta, che avrà come relatrice l'azzurra Elena Centemero, va al cuore della minaccia islamista che nasce, prolifera e dilaga nelle moschee "invisibili" che sorgono come funghi in tutta Italia. Un esempio su tutti è la moschea abusiva di viale Jenner, a Milano. Da sempre al centro di inchiesta anti terrorismo, il luogo di culto sta per essere sanato dal sindaco Giuliano Pisapia con un colpo di spugna che darà ai musulmani milanesi un nuovo luogo di culto. Ma, se non ci attrezzeremo di regole certe, il morbo dell'islam radicale non sarà mai debellato.

"Le evidenze investigative e giudiziarie - scrive Santanchè nella relazione della proposta - hanno individuato nelle moschee il luogo più frequente di base logistica o di transito, di indottrinamento, di arruolamento di combattenti della jihad". Per la deputata di Forza Italia "gli sbarchi incontrollati hanno portato e portano con loro manipoli di terroristi che chiedono e ottengono lo status di rifugiati e poi esercitano il ruolo di imam". Da qui la proposta di legge, che è firmata anche da altri deputati del centrodestra come i capigruppo di Fi e Lega, Renato Brunetta e Massimiliano Fedriga, e ancora Giorgia Meloni e Ignazio La Russa. Si prevede l'istituzione di un Albo nazionale delle moschee tenuto dal Viminale, per iscriversi al quale i centri di culto devono rispondere a requisiti stringenti. Le moschee dovranno presentare i documenti catastali, il piano economico-finanziario per la gestione, l’elenco degli eventuali finanziatori italiani ed esteri, una relazione contenente l’esposizione dei principi religiosi cui si ispira l’attività svolta all’interno della moschea, le materie e i principi di insegnamento nel caso alla moschea sia annessa una madrasa (scuola religiosa), o le generalità dell’imam. Inoltre la proposta di legge prevede, all’articolo 6, che la prefettura vigili "sullo svolgimento delle attività compiute all’interno della moschea".

Ad oggi le moscee non sono affatto controllate. Anzi, nei centri abitati più grandi, sorgono centri islamici abusivi. I musulmani pregano così in luoghi angusti, negli scantinati o nei capannoni. Tutti spazi non autorizzati. Quelli regolari sono davvero pochi. La moschea più vicina a Milano è a Segrate, ma nasce come cappella attigua al cimitero musulmano. Anche in questo caso, sebbene si tratti di un luogo di culto riconosciuto, la moschea di Segrate non passa certo per un centro moderati. A Roma, invece, c'è la Grande Moschea di Roma, costruita negli anni Ottanta con i soldi dei Paesi arabi. La più grande moschea del Sud Italia è quella di Catania. "Prima pregavamo in un sotterraneo - racconta al Corriere della Sera l’imam Kheit Abdel Hafid - non era dignitoso, anche dal punto di vista sanitario. Non c’erano le uscite di sicurezza, non c’erano finestre. Ringraziamo Dio che siamo usciti alla luce del sole. Ora siamo un punto di riferimento per tutto il quartiere". I centri non autorizzati sono la maggioranza. Una stima di alcuni anni fa parlava di almeno 700 centri culturali adibiti a moschea o a sala di preghiera. Oggi la stima del Viminale oscilla intorno ai mille luoghi di culto. Se alcuni pregano in centri strutturati, la maggior parte dei musulmani si nasconde in capannoni, cantine, garage e magazzini. Sul Guardian il fotografo trentino Nicolò Degiorgis ha pubblicato il reportage Hidden islam che raggonta le moschee abiusive del Triveneto. "Abbiamo bisogno di moschee regolari per svolgere un ruolo di educatori - è la linea di Davide Piccardo, portavoce delle associazioni islamiche milanesi (Caim) - la violenza nasce dal vuoto". Ma il confine è davvero labile.

Per evitare che le comunità si radicalizzino, oltre a controllare la moschea è necessasrio fissare criteri certi per essere ammessi all’Albo degli imam. L'aspirante Imam dovrà conoscere l’italiano, non dovrà avere sentenze di condanna per reati gravi (più di tre anni), dovrà possedere "un sufficiente livello di istruzione, preparazione, competenza ed esperienza coerenti con il profilo da ricoprire". Gli verrà, poi, chiesto di condividere "i principi ispiratori del processo di integrazione delle comunità di immigrati di fede musulmana nella comunità nazionale italiana", sintetizzati nella Carta sottoscritta nel 2005 dalle maggiori associazioni islamiche italiane (e promossa dall’allora ministro Beppe Pisanu). Sul livello di istruzione vigilerà una apposita Commissione con "un carattere interreligioso", composta da dieci membri nominati per metà dal Viminale per metà dal ministro dell'Istruzione.

Se gli imam saranno giudicati "ignoranti" dovranno seguire "appositi corsi" istituiti presso le Facoltà di lettere nei principali atenei italiani.

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