Cronache

Roma, nell'"inferno" del campo rom tra roghi tossici e faide interne

Viaggio nell'inferno della Barbuta dove secondo gli abitanti della baraccopoli i roghi tossici sarebbero almeno tre al giorno. L'ira dei residenti: "Siamo stufi di respirare diossina"

Roma, nell'"inferno" del campo rom tra roghi tossici e faide interne

Romano Halilovic aveva tre figlie: Elizabeth, Francesca e Angelica. Sono morte arse nell’incendio del camper dove la famiglia si era rifugiata per scampare alla faida etnica che infuria nel campo rom della Barbuta. Ma gli odi che sconquassano la convivenza nell’insediamento di via Appia li hanno raggiunti anche lì, non lasciandogli scampo.

È anche per questo che la Barbuta è considerato uno dei campi più pericolosi della Capitale (guarda il video).

Da qui lo scorso febbraio è partito il piano capitolino di superamento dei campi rom. L’obiettivo del Campidoglio è di smantellare la baraccopoli entro dicembre 2020. La strategia, però, è la stessa che ha fatto fiasco al River Village di via della Tenuta Piccirilli: cercare di ricollocare i nomadi altrove. Forse proprio per questo motivo la gara in questione è andata semi-deserta: l’unico ente che si è presentato all’asta è stata la Croce Rossa Italiana. Ma Monica Rossi, delegata del sindaco al Piano Rom, è comunque fiduciosa. “Roma Capitale - spiega - spendeva circa 24 milioni di euro per mantenere i campi esattamente come sono, noi queste risorse le abbiamo utilizzate per erogare direttamente il contributo ai rom così da favorire dei processi di autonomia”.

Anche stavolta, il Campidoglio, è determinato a sborsare circa 800 euro mensili per spronare i rom ad affittare una casa, a trovare ospitalità presso terzi oppure ad avviare una start-up e, perché no, anche ritornare nei Paesi d’origine. Le stesse misure che, al River, a quasi un anno dalla scadenza del termine ultimo per la sua chiusura, si sono tradotte in appena 14 rimpatri volontari. Cosa aspettarsi dal futuro? Sul destino della baraccopoli che svetta a due passi dall’aeroporto di Ciampino aleggia l’incertezza. E fra i diretti interessati non manca lo scetticismo. “I soldi non risolvono nulla, serve una soluzione alloggiativa, perché se ci danno i soldi non ci capiamo più niente e ce li spendiamo”, confessa candidamente un inquilino dell’accampamento.

A seguire il percorso di inclusione dei nomadi, ancora ai nastri di partenza, c’è la Croce Rossa di Roma che sta prendendo le misure con la popolazione del campo. “Per ora, abbiamo monitorato circa il 90 per cento dei nuclei familiari”, spiega Giacomo Iachetta, uno degli operatori. Certo, la strada è in salita perché “molti hanno paura ad uscire da qui”. Nel frattempo, per i 450 abitanti della favela, la vita scorre sempre alla stessa maniera: tra faide interne, distese di immondizia e roghi tossici. “Almeno tre al giorno”, testimonia uno degli abitanti. L’insediamento è avvolto da una cortina di stress, paura ed omertà. Quando percorriamo lo stradone che conduce alla distesa di container è mezzogiorno e dai cumuli di spazzatura accatastati a bordo strada si levano gli ultimi scampoli di un rogo. L’aria è irrespirabile. Ma se domandi agli abitanti della baraccopoli chi è che appicca il fuoco la risposta è: “Non si può dire”. Anche perché qui, le fiamme, sono anche un’arma. E ad ardere non è solo la spazzatura.

Anche i container dei Seferovich, la famiglia incriminata per la morte delle sorelline Halilovic, è andato misteriosamente a fuoco. Ancora due anni mancano alla presunta chiusura dell’accampamento. Un tempo troppo lungo per i residenti costretti a respirare miasmi e diossina. Tra loro c’è Guerriero Latini, presidente del comitato Statuario-Capannelle. “Minniti ci aveva promesso l’esercito, che fine ha fatto?”, si domada. “Siamo assuefatti e probabilmente anche malati per colpa dei veleni che ci sono nell’aria, non ce la facciamo più”, denuncia. Ed allora la proposta è quella, per lo meno, di interdire ai mezzi carichi di materiali destinati ai falò di entrare nell’accampamento. L’idea è di Fulvio Giuliano, consigliere di Fratelli d’Italia in II Municipio.

Una politica che potrebbe esser messa in campo anche alla Monachina. Il secondo insediamento incluso nel rilancio del Piano Rom della Raggi. Qui poi, al momento, ancora è buio pesto. La gara è andata deserta e, ufficialmente, non c’è ancora nessuno ad occuparsi del progetto che, allo stato dell’arte, è al palo. Il fuoco, però, continua ad avanzare anche da quelle parti. Ed è proprio di oggi la denuncia di Fabrizio Santori di Difendiamo l’Italia: nel giro di appena una settimana si sono consumati già tre roghi.

L’ex consigliere regionale alla Pisana si appella direttamente al prefetto di Roma e al ministro dell’Interno Matteo Salvini “affinché si sostituiscano all’immobilismo della giunta Raggi troppo impegnata a elargire diritti dimenticando i doveri di chi, servito e riverito nei campi attrezzati con acqua, luce e gas, si permette pure di sentirsi il padrone facendo ammalare centinaia di residenti romani”.

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