Cronache

Se adesso bastano 23mila euro per essere straricchi

Lo stipendio medio annuo in Italia vale poco? Per le statistiche siamo tra i nababbi del pianeta

Se adesso bastano 23mila euro per essere straricchi

La battuta, ormai diventata proverbiale, è attribuita a Benjamin Disraeli: «Ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le sfacciate bugie e le statistiche». In tempi di post-verità mediatica per dire le bugie nemmeno giocare con i numeri serve più: basta uno stato d'animo nutrito di pseudo-argomentazioni e amplificato dai social network. Ma alla tentazione di trastullarsi con le cifre difficilmente si resiste se si vuole dare dignità a una tesi. Così tutti gli anni, Oxfam, una federazione internazionale di organizzazioni non profit, diffonde i propri numeri sulla povertà e la diseguaglianza. Accade più o meno sempre nello stesso periodo, alla vigilia del summit di Davos, il forum in cui si confrontano i super potenti del mondo. E la tempistica è scelta, come ovvio, per strappare un po' di attenzione e qualche titolo.

Lo slogan di questi giorni, simile a quello degli anni passati, è semplice: gli otto uomini più ricchi del mondo possiedono la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone, pari al 50% della popolazione mondiale e la distanza tra ricchi e poveri cresce ogni anno di più. Il primo commento non può che essere ovvio: come valutare, se non con accenti della più convinta deplorazione, una così evidente ingiustizia?

Volendo andare oltre, le critiche si sono concentrate sulla correttezza metodologica della ricerca. Ma al di là del dettaglio sui singoli dati è interessante la tesi sulla tendenza di fondo dell'economia mondiale. Che poi altri non è che la riedizione del vecchio principio marxista: il capitalismo conduce a una sempre crescente diseguaglianza, visto che una fetta sempre maggiore di ricchezza è intercettata da una piccola cricca di affaristi. La parola d'ordine sembrava passata di moda, dopo che nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale il mondo avanzato aveva sperimentato una mai vista ridistribuzione di ricchezza con l'emergere di un ceto medio a cui in molti Paesi occidentali appartengono i due terzi della popolazione. Dovendo fare i conti con la realtà l'economista francese Thomas Piketty ha ripresentato di recente il vecchio ritornello in versione riveduta, corretta e modernizzata: i «30 anni gloriosi» del dopoguerra sono un'eccezione, dice Piketty. Sul lungo periodo Marx aveva ragione, il rendimento del capitale investito (la fetta di torta che va ai capitalisti) è sempre più alto della crescita economica (da cui dipendono i redditi di quelli che capitalisti non sono). Quindi i pescecani dell'economia globalizzata sono destinati a diventare sempre più facoltosi a danno di tutti gli altri.

Decine di saggi sono stati scritti per dare torto o ragione ai numeri addotti da Piketty a sostegno della sua tesi. Ma al di là del dibattito scientifico è l'esperienza che sembra smentire l'economista francese. Se si allarga lo sguardo dalla vecchia Europa i numeri e le ricerche parlano dell'emergere di una gigantesca classe media globalizzata, in Paesi come Cina, India o Brasile. Decine di milioni di persone sono state liberate dalla schiavitù della povertà negli ultimi decenni.

Certo, spesso questo è avvenuto con la delocalizzazione e a spese dei lavoratori del mondo occidentale. Ma anche da questo punto di vista la ricerca di Oxfam alla fine dimostra che, pur esitanti e in crisi, le economie occidentali sono in grado di garantire ai loro cittadini un tenore di vita inimmaginabile a gran parte del mondo. In Italia la soglia di povertà è, a seconda delle zone, tra i 700 e gli 800 euro al mese. Lo stipendio di un italiano medio supera i 23mila euro l'anno. Pochi, per chi è alle prese con l'affitto e i con i costi di una società postmoderna, in cui si spende di più per i telefonini che per mangiare. Eppure si tratta di un livello di reddito non solo sconosciuto ma addirittura inimmaginabile in gran parte di Paesi africani, dove vive lo zoccolo duro di quei 3,6 miliardi di persone che appartengono alla metà più povera del pianeta e che a volte si devono accontentare di redditi appena inferiori ai 2 dollari al giorno. È per questo che la lotta alla diseguaglianza è una cosa buona e giusta.

Ed è per questo che va fatta proprio con gli strumenti del capitalismo.

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