Cronache

Se il punto d'arrivo è l'automobile che fa tutto da sola

di Piero Evangelisti

Ai Saloni dell'auto a tenere alta la bandiera della tradizione automobilistica è ormai rimasto soltanto il design, che ha ancora un peso decisivo nella scelta emozionale dell'auto. Tutto il resto è tecnologia digitale, telematica, connettività, car sharing e mobilità integrata. Le prestazioni delle auto con motori a combustione interna, che rappresentano ancora il 99,6% del parco circolante mondiale, passano in secondo piano, e paradossalmente diventano secondari anche i loro consumi di fronte all'imperativo «elettrificare». Punto d'arrivo: l'auto che fa tutto da sola, quella equipaggiata delle tecnologie sintetizzate nel nuovo acronimo ADAS, Advanced Driver Assistance Systems, e che può muoversi senza problemi anche se non c'è nessuno al posto di guida. Alla self driving car si dedicano i giganti della Silicon Valley (Google per prima, Apple in tempi più recenti) e ormai gran parte dei costruttori, quelli, cioè, che per il momento se lo possono (...)

(...) permettere, perché la guida autonoma è soltanto una delle sfide che attendono l'industria automobilistica.

AlixPartners, società di consulenza internazionale alle aziende, ne ha individuate quattro per le quali ha creato la sigla C.A.S.E., Connected, Autonomous, Shared, Electrified: l'auto del futuro dovrà avere queste caratteristiche. Sono quattro aree di sviluppo che richiederanno decine e decine di miliardi di euro di investimenti a costruttori che ne stanno già investendo altrettanti per continuare a ridurre i consumi dei motori tradizionali, un salasso al quale non tutti, forse, sopravvivranno conservando la loro autonomia. Per quanto riguarda la connettività si tratta di un traguardo da molti già raggiunto, il car sharing si va diffondendo rapidamente e sta assumendo sempre nuove forme anche se non assicura utili in tempi brevi e, per quanto riguarda le auto elettriche, plug-in con range extender (motore termico d'appoggio) e fuel cell il problema è sempre quello della mancanza di infrastrutture e, anche in questa area, ci vorranno anni prima che un costruttore possa vedere degli utili. In questi tre casi si tratta, comunque, di percorsi già ben avviati, nei quali non si può tornare indietro, ma molti giustificati interrogativi nascono quotidianamente sull'auto a guida autonoma.

La Google car, per esempio, l'autonoma per eccellenza che già da alcuni anni è autorizzata a circolare, in via sperimentale, sulle strade del Nevada e della California, ha già collezionato numerosi incidenti, nessuno con conseguenze per le persone coinvolte, ma tutti indicativi della sua difficoltà a inserirsi nella comunità formata da veicoli guidati da «umani» che hanno a volte comportamenti imprevedibili per l'intelligenza artificiale che guida la vettura. Un aiuto potrebbe arrivare da infrastrutture che dialogano con le auto, ma queste, sempre che si trovino le risorse per realizzarle, non potranno essere disponibili, secondo AlixPartners, prima del 2035. Un altro spunto di riflessione sulle prospettive della Autonomous Car l'offre il caso di pirateria telematica subita qualche mese fa da una Jeep Cherokee che due hacker americani (uno dei due era il proprietario della vettura, fatto che rende quasi legale l'azione compiuta) sono riusciti a guidare a distanza senza che il guidatore potesse intervenire per modificare l'auto che accelerava e frenava da sola.

L' hackeraggio , che ha costretto Fca al richiamo di 1,4 milioni di veicoli, ha sfruttato semplicemente il Gps e l'impianto audio della vettura dimostrando la grande vulnerabilità di veicoli sempre più connessi che rappresentano una sfida per hacker che non avranno difficoltà a entrare nei futuri cloud che i costruttori dichiarano inattaccabili, minacciando così non soltanto la privacy del driver ma anche la sua sicurezza.

Piero Evangelisti

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