Cronache

Se da uomo diventi donna, la pensione arriva cinque anni prima

La Corte di Giustizia dell'Ue accoglie il ricorso di un trans che si era visto negare la pensione a 60 anni (come le donne) perché non aveva annullato il matrimonio

Se da uomo diventi donna, la pensione arriva cinque anni prima

Una persona che abbia cambiato sesso divenendo donna da uomo che era può ottenere il trattamento pensionistico da femmina anche se non ha annullato il matrimonio contratto prima del cambiamento di genere.

E' questa la conclusione tratta dall'avvocato generale della Corte Ue di Giustizia, Michal Bobek, che ha analizzato il caso di una 69enne britannica che al compimento del sessantesimo anno di età ha presentato domanda di pensionamento, secondo le regole previste nel Regno Unito per le donne (gli uomini possono andarci a 65 anni). Nata uomo e sposato con una donna, la 69enne ha poi cambiato sesso nel 1995. Tuttavia non ha mai formalizzato la nuova identità sessuale poiché in base alla legge britannica questo passaggio avrebbe richiesto l'annullamento del precedente matrimonio, cosa che nessuno dei due coniuge desiderava.

E' per questo che al momento della richiesta della pensione, la donna si è vista trattare come un uomo e si è sentita chiedere di aspettare altri cinque anni. Di fronte al ricorso, i giudici inglesi hanno deciso di passare la palla ai colleghi di Lussemburgo. Che ora spiegano che il diniego della pensione da donna a una transgender che non ha mai registrato formalmente il cambiamento di sesso costituisca una discriminazione e che pertanto sia contraria alle direttive Ue.

Inoltre l'avvocato generale ha ravvisato una discriminazione oggettiva rispetto alle donne che sono divenute uomini, i cosiddetti cisgender. Persone per cui invece il mancato annullamento di un eventuale matrimonio precedente non ha alcuna rilevanza.

La Corte di Lussemburgo, racconta infine il Sole 24 Ore, ammette che il diritto per riconoscere il cambiamento di sesso spetta ancora ai singoli Stati ma ribadisce al contempo che la regolamentazione in materia deve sempre mantenersi entro i limiti del diritto comunitario, specialmente per quanto riguarda le discriminazioni.

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