Cronache

La sfida del tecno-sapere

Quale impatto hanno avuto internet e la tecnologia sempre più avanzata sulla visione del mondo e di noi stessi? Quale senso dobbiamo e possiamo trarre (o dare) all'enorme mole di dati, numeri, informazioni ai quali quotidianamente siamo esposti? Un tempo spettava alla letteratura e alla filosofia trovare i significati, indicare gli archetipi, interpretare e ricomporre i frammenti: è ancora così? C'è un dibattito acceso intorno a questi temi al quale la letteratura italiana non sembra interessata a partecipare. Eppure proprio l'Italia, come scoprirete in queste pagine, in alcuni settori occupa un ruolo d'avanguardia...

«S e oggi c'è qualcuno col genio di James Joyce, probabilmente sta lavorando per Google. E se non c'è, non importa. Perché le visioni del singolo genio possono essere sviluppate e realizzate collettivamente dagli operatori di quella compagnia, o da una simile». Così scrive Tom McCarthy sul quotidiano The Guardian , intervenendo direttamente nel dibattito suscitato dal suo nuovo romanzo Satin Island (Jonathan Cape) appena uscito nei Paesi anglosassoni. Lo scrittore inglese, classe 1969, aveva affrontato in C (Bompiani, 2013) la rivoluzione delle comunicazioni, andando a cercare, con successo, le radici di internet negli anni a cavallo dell'Otto-Novecento, quando esplose il fenomeno della radio. In Satin Island , McCarthy si avventura nel presente. Un giovane antropologo, avviato alla carriera accademica dopo aver pubblicato un promettente saggio sulla club culture , viene assunto da una Compagnia. Unico dovere: redigere il Grande Report, la nuova mappa del presente. In che modo? Spetta a lui decidere e, nel frattempo, produrre qualche piccolo studio per la Compagnia. Di cosa si occupa la Compagnia? Difficile dirlo. Sappiamo soltanto che c'è in ballo un Progetto tanto universale quanto inafferrabile. Per il resto si intuisce che la Compagnia fornisce consulenza a grandi marchi e importanti istituzioni pubbliche. Si intravede anche il mondo dei big data, un'enorme mole di numeri processati dalle macchine. Forse il compito del nostro antropologo è dare un senso alle informazioni raccolte. Ma dare un senso non è anche il compito dello scrittore e della letteratura? E qui arriva la provocazione di McCarthy: «Mentre la fiction “ufficiale” si è ritirata nella confortevole nostalgia» il ruolo di «avanguardia culturale» è stato raccolto da «grandi studi di architettura, compagnie di media digitali e ditte di consulenza ai brand». Sono le Corporation a produrre i miti, i simboli, le icone del nostro tempo. Sono le Corporation a individuare gli archetipi del nostro tempo. Sono le Corporation a capire (e a spiegarci, basta pagare) cosa siamo diventati. Sono le Corporation a narrare la nostra epoca. Non a caso il capo spiega all'antropologo che se dovesse riassumere con una sola parola cosa faccia davvero la Compagnia, risponderebbe: fiction. Ma non è tutto. Cos'è oggi la conoscenza? Finita l'epoca in cui un individuo poteva dominarlo per intero, il sapere è un processo sempre più collettivo. Ogni specialista è chiamato a cedere le sue peculiari conoscenze per creare qualcosa che vada oltre. Al centro, ci sono i concetti di connessione e condivisione. Questo cambiamento è il frutto di internet. È un bene o un male? Tom McCarthy non giudica: ci mostra il dato di fatto.

Da qualche anno, gli scrittori americani più noti si interrogano sull'impatto della tecnologia sulla identità e sulla società. Andando a ritroso, Dave Eggers nel 2013 ha pubblicato Il cerchio (Mondadori, 2014). L'utopia della condivisione spalanca la porta a una nuova forma di tirannia fondata sul controllo capillare. Il cittadino si sottomette spontaneamente, mettendo on line la sua vita, pronta a (...)

(...) essere convertita in dati «misurabili» dal Cerchio, Compagnia che allude apertamente a Google. Thomas Pynchon ha interpretato la questione in chiave complottistica ne La cresta dell'onda (Einaudi, 2014). Se in Eggers il totalitarismo digitale si impone alla luce del sole, in Pynchon oscure forze, intuiamo legate alle Corporation e ad Agenzie governative, muovono l'economia sommersa del web, quella parte di rete ove avvengono i peggiori traffici. Il tema è stato declinato anche in altri modi. Nella saggistica di Franzen, con sommo pessimismo. Nella narrativa di Jennifer Egan, che integra il linguaggio letterario con quello dei social network. Nella fantascienza di William Gibson, pioniere assoluto, e oggi appena tornato con un romanzo, The Pheripheral (Wheeler Publishing), su universi paralleli, stampanti 3D e nanotecnologie che rischia di avere la stessa portata di Neuromante (Nord, 1986 e ora Mondadori), il capolavoro degli anni Ottanta in cui introduceva e sviscerava il tema del cyberspazio.

Anche al cinema, gli esempi sono moltissimi. Si va da Her di Spike Jonze (2013) a Don Jon di Joseph Gordon-Levitt (2013) passando per Transcendence di Wally Pfister (2014): rapporto (anche amoroso) tra uomo e macchine, effetti disastrosi della vita virtuale su quella reale, intelligenza artificiale. Come si vede, il rapporto con la tecnologia appartiene ormai al mainstream : grandi nomi, grandi editori, produzioni hollywoodiane o inserite nel circuito dei principali Festival.

Adesso diamo una occhiata al nostro Paese. Sembra ci sia nulla di simile, con le dovute eccezioni. Per esempio la comunicazione nei social ne Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler (Mondadori, 2014) di Massimiliano Parente, o i computer superveloci in Atomico Dandy (Feltrinelli, 2005) di Piersandro Pallavicini. Nell'insieme, però, se Walter Siti non avesse iniziato una riflessione sul mondo della televisione, da Troppi paradisi (Einaudi, 2006) in poi, saremmo ancora allo stupore di fronte alla lavatrice nel tinello di casa. Dove comunque restano ambientati quasi tutti i romanzi italiani.

Alessandro Gnocchi

Commenti