Cronache

"Siamo in terra straniera", residenti e commercianti fuggono dalla stazione Tiburtina

Dopo il recente sgombero, all'ombra della stazione Tiburtina è ricominciata la solita routine: furti, bivacco, risse e degrado. Così i residenti, esasperati, stanno cercando di "svendere" il proprio appartamento per trasferirsi altrove

"Siamo in terra straniera", residenti e commercianti fuggono dalla stazione Tiburtina

La stazione Tiburtina guarda al futuro. Sembra quasi volerlo toccare, con le sue geometrie avveniristiche, i treni veloci, lo scintillio dei negozi. Ma al di fuori c’è un mondo dove il futuro si perde tra accattoni e spazzatura, odore di urina e bottiglie di birra. La vita al di là della stazione ferroviaria è un eterno presente. Intrappolati lì dentro ci sono residenti, commercianti e persino i tanti studenti fuori sede. Un popolo di persone che, adesso, se ne vuole andare.

Basta fare due passi lungo Circonvallazione Nomentana per rendersene conto (guarda il video). Il cammino è una via crucis di cartelli: “vendesi”, “affittasi”, “vendesi”, “affittasi”. Una portiera di mezza età sta spazzando fuori dall’uscio: “Su 18 appartamenti, di residenti storici ne sono rimasti 4, e nel civico di fronte è la stessa storia. Il quartiere si sta spopolando”, ci dice amareggiata. Facendosene quasi un colpa, perché lei ha provato in tutti i modi a contrastare la diaspora, avendo cura del condominio, pulendo infaticabilmente le tracce del bivacco, cercando di dissuadere gli sbandati a stazionare davanti al portone. “Vengono qui davanti, mangiano, bevono, urinano e schiamazzano a tutte le ore del giorno e della notte. Così, io, mi sono trasformata nella loro colf, non faccio altro che pulire la loro sporcizia”. Un giorno, esasperata, gli ha persino tirato una secchiata d’acqua e, per tutta risposta, “mi sono beccata una sberla”.

Chi può, se ne va, ce lo conferma anche Nella, che abita proprio di fronte allo snodo ferroviario. “Non ci sono più le famiglie storiche, né i negozi di una volta, ci sentiamo in terra straniera”. Nel suo condominio, qualche notte fa, si è intrufolata una senza tetto dell’Est Europa. “Ha fatto pipì nell’androne e spaccato una bottiglia di birra”. Ma ogni giorno porta con sé la sua pena, e chi se ne vuole andare è costretto a svendere. Decidiamo di entrare in un’agenzia immobiliare. “Il degrado che c’è davanti alla stazione Tiburtina e l’insicurezza percepita dalla gente – ci spiega il titolare – influisce sul valore degli immobili”. In zona ci sono metropolitane, treni, università, siamo in uno dei quartieri con più servizi della Capitale, eppure: “Il valore degli appartamenti, soprattutto quelli che affacciano sulla stazione Tiburtina e che sono già deprezzati per via della Tangenziale, è sempre più basso”. Così basso che, spesso, “non sempre a trovare un incrocio tra domanda ed offerta”.

Anche i negozianti sono in affanno. Al loro posto, un esercito di imprenditori stranieri, soprattutto del Bangladesh, è già pronto ad alzare la serranda. Di notte, quando la fisionomia della stazione scompare nel buio pesto e per i residenti inizia il corpi fuoco, si vedono solo le loro insegne. Verso sera, mentre poco più in là un capannello di persone di tutte le nazionalità è in fila per ritirare il pasto offerto dalle associazioni, il gestore di uno dei tanti mini-market di zona si sfrega le mani. “Vendiamo parecchie birre”, ci conferma. “Quante?”, gli domandiamo. “Una quindicina… di casse”, è la risposta. Tra gli ultimi commercianti italiani che non si rassegnano a scomparire c’è la titolare di una pizzeria al taglio. Lei non si arrende, nonostante il suo locale sia quotidianamente nel mirino dei borseggiatori rom: “I furti sono all’ordine del giorno, i clienti vengono sistematicamente ripuliti di cellulare e portafogli, lavoriamo con mille occhi”.

Con il fuggi fuggi di residenti, la zona si è popolata di studenti. Ma anche per loro i tempi sono duri. La storia di Emanuela è emblematica. Viene da Salerno, e qualche anno fa si è trasferita a Roma, davanti alla stazione, “che è a due passi dall’università”. É stata aggredita, un sabato sera come tanti, mentre rientrava a casa. “Ho denunciato l’accaduto e, confrontandomi con altre studentesse, ho scoperto di non esser la sola”. Adesso è andata a vivere qualche isolato più in là, sì perché basta allontanarsi di poco dalla stazione per ritrovare la serenità perduta. “Ora sto bene, ma quello che mi è capitato - ci dice - mi ha segnata, non mi avvicino più alla stazione Tiburtina e, anche quando viaggio, parto e arrivo sempre da Termini”.

La situazione ha raggiunto il suo picco massimo la scorsa settimana, quando un magazziniere sudamericano è stato brutalmente pestato da due romeni. Così l’amministrazione capitolina si è finalmente decisa ad intervenire con sgomberi e controlli. “Un’operazione spot”, secondo l’esponete romano della Lega, Andrea Liburdi, che ci mostra come all’ombra dei pilastri della Tangenziale siano già tornati ad accamparsi alcuni disperati. Assieme ai loro giacigli, agli scarti di cibo, alle bottiglie di birra. “Possibile che si decidono ad intervenire solo quando succede qualcosa di grave? E dopo 48 ore? Guardate qui, torna tutto come prima”. Lorenzo Mancuso del Comitato Residenti Stazione Tiburtina” gli fa eco salmodiando sempre le solite soluzioni, quelle che va ripetendo da mesi, e che al Campidoglio nessuno vuole ascoltare: “Abbiamo chiesto un’ordinanza contro il consumo e la vendita di alcol, il divieto di somministrazione dei pasti in strada ed un daspo ad hoc”. Ed ora? “Siamo sul piede di guerra”.

E il futuro è ancora così lontano.

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