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Il solito vizio di chi da sempre odia le divise

Non mi soffermo sulle elezioni regionali. Mi pare che gli si dia un peso esagerato, e non intendo azzardare pronostici su chi vincerà in Abruzzo

Il solito vizio di chi da sempre odia le divise

Non mi soffermo sulle elezioni regionali. Mi pare che gli si dia un peso esagerato, e non intendo azzardare pronostici su chi vincerà in Abruzzo. Ma sono certo invece di quel che accadrà il prossimo giugno alla consultazione europea. Stravinceranno le forze di governo, perché a prevalere saranno i principi di fondo che i rispettivi leader incarnano, e non le ubbie locali o la voglia di fare dispetti che determina i risultati rionali. E tra le certezze che pesano ce n'è una che, con fuochi di guerra sul filo dell'orizzonte, dà un vantaggio alla destra: il valore decisivo della sicurezza.

Visto che quella lontana traballa, garantiamoci quella sotto casa e per le strade. Come ha detto Romano Prodi, che resta il miglior fico - o dattero - del bigoncio progressista: oggi l'elettore non si attarda sulle nuance di beige o di lillà, sceglie su che sponda stare. La riva destra o la riva sinistra? Traduco nell'attualità. Quella della polizia o quella dei manifestanti? Certo, ogni episodio è diverso dall'altro, ci sono talvolta torti e ragioni che si intrecciano. Ma dov'è che batte il tuo cuore, caro elettore? Io non ho dubbi, e così ritengo valga per la maggior parte degli italiani.

Il fatto è che invece la sinistra nelle versioni non può (...)

(...) proprio fare a meno di guardare il poliziotto o il carabiniere come un manichino senz'anima, i cui fili sono tirati dai poteri oscuri del male. Il politico (o il giornalista o il professore), qualunque sia la sfumatura di rosso della sua tessera, mica è scemo, e professerà sempre fiducia nella polizia e nei carabinieri come istituzione. Ma i singoli appuntati o vice ispettori non li sopporta. E appena ha un pretesto cui agganciarsi è trascinato da sentimenti ancestrali a dare addosso all'uomo o alla donna in divisa, amplificando l'indignazione per un supposto errore fino a disegnare sul petto dei tutori dell'ordine un bersaglio per malintenzionati singoli o in corteo.

È un riflesso pavloviano che attraversa il confine dei secoli. Il poliziotto Antonio Annarumma fu assassinato nel novembre del 1969 in via Larga a Milano. Un manifestante pacifico gli sfondò la testa con un tubo di ferro durante una di quelle manifestazioni che sistematicamente trovavano il plauso corale di artisti e intellettuali che firmavano appelli a favore di rivoluzioni ed espropri proletari contro lo Stato di polizia. Ci fu un momento in cui parve che il Partito comunista con i suoi alleati, dopo essersi aggiudicato il governo delle grandi città, come Milano, fosse a un passo dalla vittoria alle politiche. Era il 1976, e in quel momento Berlinguer riuscì - mentre Botteghe Oscure introitava l'oro di Mosca - a far passare il suo partito come l'unico in grado di bloccare il piombo comunista. Gli italiani non ci cascarono. Adesso si è passati al campo largo, che è il nome nuovo del Fronte popolare. Schlein e Conte dopo Togliatti e Nenni? Non è colpa nostra, gli avversari non li scegliamo noi. Ma di certo c'è una continuità di fondo, a parte la dimensione del cervello. Il dito accusatore è puntato, causa un tic ereditario, contro le forze dell'ordine.

Il copione si è ripetuto in questi giorni dopo i fatti (anzi i fatterelli) di Pisa. Il filmato ripreso da un telefonino ha mostrato una carica di agenti di Ps che, invece di gettare petali per fermare un corteo non autorizzato, hanno adoperato il manganello.

Il gioco - viste le immagini di quei venti secondi - è stato a questo punto facilissimo, i cattivi additati immediatamente al ludibrio. Non ci si è fermati a criminalizzare come brutali esecutori i poliziotti, ma si è subito risaliti al mandante: la fascista Meloni, e chi se no? Le vignette, che valgono come un editoriale, ma hanno il vantaggio di essere impunite, lo esplicitano. Chi osa sostenere, come ha fatto in Parlamento il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, che bisognerebbe tener conto anche di quel che non si è visto. Raccogliendo testimonianze di che cosa sia accaduto, e come si sia arrivati a determinare una reazione di quel genere.

Era necessario? Non lo so. Forse, adesso i dirigenti della Questura e i loro sottoposti, visto il linciaggio mediatico e parlamentare, rimpiangono di non aver accompagnato il corteo a far danni imbrattando monumenti e lanciando slogan a favore di Hamas, accettando come d'uso secondo la teoria del male minore, di farsi sputacchiare e malmenare verbalmente da figli di papà i cui genitori di solito gl'insegnano a picchiare i docenti. Ma un bernoccolo non è - almeno credo - il male assoluto.

Mentre può far male, molto male, la propaganda di delegittimazione dell'uso di una forza legittima da parte dei tutori della sicurezza pubblica. Se la sinistra insiste coi petardi verbali, poi seguono le molotov. E in vista del G7 a casa nostra, non è proprio il caso. Appuntamenti sono fissati nelle prossime settimane per ministri e - secondo tradizione - per guerriglieri urbani anarchici e comunisti. Il 13-15 marzo a Verona e Trento verranno i titolari dell'industria. Poi dall'11 al 13 aprile a Milano quelli delle infrastrutture. Il 28-30 aprile a Torino: clima=guai. Infine il 13-15 giugno, quello tra Capi di Stato e di governo, in campagna, a Borgo Egnazia (Brindisi). Ma prima, il 9 giugno, si vota alle Europee.

Ci danno sicurezza.

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