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Solo Trump rompe il muro dell'ipocrisia

Dai leader del mondo parole di circostanza, ma chi dice la verità conquista i cittadini

Solo Trump rompe il muro dell'ipocrisia

Le cose della storia, un po' come quelle della vita, non sono mai inventariabili secondo lo schema «o bianco o nero», si sa. I grandi personaggi e i grandi eventi rifuggono dai giudizi assoluti. Per comprenderli occorre tenere conto di tutte le sfumature. Però i distinguo, i pareri pro-e-contro, gli equilibrismi intellettuali, le analisi comparative, tutto questo dovrebbe essere materia degli storici, al limite degli intellettuali. Ai politici, invece, è chiesto qualcosa d'altro, di diverso. Ai politici è chiesto di scegliere, di prendere una posizione (una, non due contemporaneamente), di essere chiari di fronte al cittadino/elettore. Devono rischiare il giudizio, fare capire cosa pensano realmente, essere limpidi.

E nel mare torbido dei ricordi che ieri - tra i leader del mondo - hanno affogato la memoria di Fidel Castro, è spiccato Donald Trump. Il suo giudizio tranchant - «Castro era un dittatore che ha oppresso il suo popolo» - può non essere condiviso. Ma è chiaro, deciso, magari dal punto di vista storico semplicistico, e dal punto vista comunicativo avventato. Ma è onesto. Tu sai chi sono. Io dico quello che penso. E quello che penso lo dico. Se ti piace come mi comporto, mi dai il tuo voto. Altrimenti ognuno per la sua strada. Poi ci si chiede - interrogando i flussi elettorali, citando la psicologia delle folle, scandalizzandosi per la «irragionevolezza» di certe scelte - perché uno come Trump vince. Si potrà chiamare la sua naturalezza volgarità, archiviare la sua semplicità come ignoranza, bollare la sua disinvoltura come superficialità.

Ma non si potranno accusare le sue dichiarazioni di ipocrisia. Trump lo dirà in modo troppo diretto, e per alcuni fastidioso. Ma quello che sta dicendo è la verità. Che per un politico è la cosa fondamentale: essere credibile di fronte ai cittadini per essere votati dagli elettori.

I cittadini e gli elettori, che sono la stessa cosa, sentendo piangere Fidel Castro come fosse un campione della libertà, non capiscono più i politici, i quali denunciano da ogni parte fantomatici pericoli per la democrazia, e poi non vedono (o fanno finta di non vedere) le vere dittature. È difficile per il cittadino/elettore comprendere quell'atteggiamento - ambiguo (...)

(...) e conformista - per cui si mette in guardia da improbabili derive autoritarie nel mondo capitalista, e però si trascurano i dispotismi dei (residui) socialismi rivoluzionari...

Curioso il meccanismo di certi politici (di solito supportati dall'ala intellettuale del partito). Parlano in modo interessato e ipocrita alla gente. La ingannano. E poi quando la gente si ribella, non votandoli, la liquidano come ignorante. E il popolo diventa populismo. Prima si rivolgono a loro come se non avessero il cervello, e poi li incolpano di scegliere con la pancia.

Il caso di Castro è esemplare. Il regime del líder máximo era costruito sulle caserme, le prigioni, le persecuzioni, la povertà e la negazione dei diritti umani. Fare sparire tutto ciò dietro il sipario della retorica (e dei simboli iconici: i baschi, i sigari, le canzoni rivoluzionario), è un trucchetto che gli spettatori disincantati - cioè non ideologizzati - smascherano subito. Non li puoi ingannare. I numeri di illusionismo storico e gli equilibrismi culturali sfoggiati dai Grandi del mondo, parlando di un piccolo caudillo, non convincono nessuno.

«Sarà la storia a giudicare il grandissimo peso della singolare figura di Castro nel mondo» (il presidente americano Barack Obama), «la sua eredità sarà giudicata dalla storia» (il presidente della commissione Ue, Jean-Claude Juncker), «figura dalle mille sfaccettature» (il Vaticano, attraverso L'Osservatore Romano), «un uomo che ha incarnato la rivoluzione nelle sue speranze e nelle sue disillusioni» (il presidente francese François Hollande), «un leggendario rivoluzionario e oratore» (il premier canadese Justin Trudeau), «un protagonista della storia del suo Paese e della vita del mondo» (il presidente della Repubblica Sergio Mattarella)... Sono parole di circostanza, certo. Diplomatiche, è vero. Prudenti, ed è giusto. Ma che non spiegano nulla. Che suonano false. Certo, sempre meglio dei deliri storici e filosofici come quelli del dittatore coreano Kim Jong-un («un vero leader del popolo»), o del presidente cinese Xi Jinping («un compagno e amico sincero»), o del portavoce del regime vietnamita («camarada y hermano»)... Ma a volte la follia è più comprensibile (e perdonabile) dell'ipocrisia.

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