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Sotto tutela

Mattarella chiede garanzie per tranquillizzare Ue e Usa. Braccio di ferro: Luigi vuol fare il vicepremier, Matteo no

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Intrappolati come nel Giorno della marmotta, con gli avvenimenti che inesorabili si ripetono uguali a se stessi in un eterno loop. Ormai da 72 ore, infatti, ogni sera il governo M5s-Lega che è ad un passo dal nascere finisce per saltare. E ogni mattina riparte il pressing su Silvio Berlusconi per avere il suo via libera. Già, perché il postulato che viene ben veicolato dagli entourage di Luigi Di Maio e Matteo Salvini è uno e incontrovertibile: se non nasce un governo è solo per il veto del leader di Forza Italia, unico vero responsabile di eventuali elezioni anticipate e dunque dell'instabilità del Paese. Un assioma che ha iniziato a scricchiolare proprio ieri sera, al termine di una giornata in cui da Arcore è filtrata una disponibilità di massima di Berlusconi a non mettersi di traverso rispetto ad un esecutivo M5s-Lega. Con che formula è ancora da capire, anche se chi conosce bene l'ex premier ipotizza un'astensione ma non esclude che poi, al momento del voto di fiducia, un pezzo dei gruppi parlamentari di Camera e Senato possa scegliere «a sorpresa» una via più netta e schierarsi contro. D'altra parte, come va ripetendo in queste ore Berlusconi, «M5s e Lega hanno da soli i voti per far nascere questo governo» e certo «non sarò io a mettermi di traverso».

Questo filtrava ieri da Arcore e tanto è bastato nel corso della giornata a mettere in evidenza quanto Berlusconi sia più un pretesto che un problema. Accantonato per un giorno l'ingombrante leader di Forza Italia, infatti, sulla via di un governo che a quel punto doveva essere tutto in discesa sono invece finiti a sbattere sia Di Maio che Salvini. Il faccia a faccia che hanno avuto ieri alla Camera, infatti, è stato ben più agitato di quanto si racconti. Sul tavolo del futuro esecutivo, infatti, c'è innanzi tutto il ruolo che dovranno avere i due leader. Con Salvini che è deciso a restare fuori dal governo e fare il «regista» e capo politico della Lega e Di Maio che invece vorrebbe entrare come vicepremier. Una divergenza di vedute determinante, perché è chiaro che se il leader della Lega resta alla finestra anche il capo dei Cinque stelle sarà costretto a seguirlo. Suo malgrado, se il tema è stato oggetto di un confronto serrato, con Di Maio che ha accusato Salvini di non volersi assumere le sue responsabilità: «Hai solo paura che nei prossimi mesi arrivino decine di barconi di immigrati...».

Ma, per quanto l'uomo della comunicazione del M5s Rocco Casalino vada ripetendo in Transatlantico che «il tema non è ancora stato trattato», il vero punto di caduta è sul premier. Tramontata l'ipotesi Giancarlo Giorgetti - che non convince il M5s ma pare neanche Salvini - sulla casella chiave del futuro governo gialloverde si sono concentrate le attenzioni del Quirinale. Ieri, per dire, oltre all'eccentrica ipotesi di una «staffetta» a Palazzo Chigi tra Di Maio e Salvini hanno circolato vorticosamente i nomi prima dell'ex presidente dell'Istat Enrico Giovannini (che sarebbe già stato contattato dal Colle) e poi del presidente di Fincantieri Giampiero Massolo, diplomatico di lungo corso. Nomi a parte, il punto è che Sergio Mattarella starebbe chiedendo delle garanzie per dare il suo benestare alla nascita di un governo Di Maio-Salvini che non solo in Europa sarebbe guardato con una certa diffidenza. Non è un mistero, infatti, che Washington non veda affatto di buon grado la Lega e le sue posizioni anti Nato sulla Siria, al punto che l'ambasciatore americano in Italia, Lewis Eisenberg, qualche settimana fa ha preferito non farsi trovare quando Giorgetti si è presentato nei suoi uffici di via Veneto.

Insomma, il punto è che la trattativa sull'esecutivo M5s-Lega non è affatto a due come lascerebbero intendere incontri e telefonate quotidiane tra Di Maio e Salvini. Ma a tre perché il Quirinale non ha alcuna intenzione di lasciargli carta bianca. Non solo la casella del premier, ma anche quelle degli Esteri (importante negli equilibri con gli Stati Uniti) e dell'Economia (centrale per Bruxelles) devono essere concordate con Mattarella. D'altra parte, sono quelli i fronti che preoccupano le cancellerie europee, per nulla ottimiste davanti allo scenario di un governo M5s-Lega in Italia.

Insomma, nel giorno in cui Berlusconi conferma di liberare di fatto Salvini dal vincolo di coalizione («se ritiene di assumersi la responsabilità di creare un governo con il M5s, prendiamo atto con rispetto della scelta», dice l'ex premier), i riflettori si spostano impietosamente sul duo Di Maio-Salvini. Con i due che sembrano molto più distanti di quanto hanno fatto filtrare in questi giorni. E con il leader della Lega che inizia a temere i possibili contraccolpi di un governo a trazione M5s. Un esecutivo nel quale la Lega starebbe nella difficile posizione di dover governare e Forza Italia in quella decisamente più comoda dell'opposizione.

Insomma, una vera e propria inversione di ruoli.

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