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Ma lo Stato torni a essere presente

Che sia compito della scuola educare per combattere la cultura dello stupro, come ha dichiarato il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ieri, è cosa senz'altro vera

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Che sia compito della scuola educare per combattere la cultura dello stupro, come ha dichiarato il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ieri, è cosa senz'altro vera. Posto che il male nel mondo è ineliminabile e, come ci insegna la psicologia del profondo, le pulsioni libidiche e di aggressività sono entro l'essere umano, una società è tanto più civile e civilizzata quanto più riesce a limitare questi fenomeni. E uno degli strumenti è certamente l'educazione.

Nel nostro Paese permangono infatti sacche di mentalità agraria e patriarcale, per le quali la donna dovrebbe restare a casa a partorire figli e ad accudirli. Per questo esiste, nella popolazione maschile, anche molto giovane, un problema di fronte all'emancipazione delle donne, quasi che la loro libertà fosse un segno di disponibilità sessuale. Problema tanto più diffuso quanto meno sviluppata è la scolarizzazione. Quando però ci troviamo di fronte agli stupri collettivi, quelli del cosiddetto «branco», come a Palermo e a Caivano, che anche la sociologia della devianza distingue da quelli «individuali», è evidente che debba intervenire lo Stato nella sua veste di «guardiano notturno» (e diurno), più che in quella di educatore.

La prima via è quella della repressione, certo. Ma anche qui bisogna evitare, sull'onda della giusta indignazione, di evocare castighi corporali o detenzioni ultra decennali; è noto infatti che, quando la pena è spropositata, essa non svolge più un effetto deterrente, altrimenti in quei Paesi in cui la violenza sessuale è punita con il patibolo, come Cina, Iran, Arabia Saudita, questa dovrebbe sparire. Lo Stato, soprattutto nel caso di stupri collettivi, può e deve essere presente però in veste preventiva.

La violenza del branco si svolge per forza di cose in una dimensione spaziale «pubblica» assai più visibile rispetto all'abuso individuale. Ed è spesso uno spazio pubblico abbandonato dalla legalità, in cui l'orda si sente al sicuro. Non è un caso che i due eventi più efferati si siano svolti in aree del Sud nelle quali le istituzioni hanno sempre faticato ad essere presenti, appunto Palermo e la provincia napoletana. Il caso del centro sportivo fatiscente di Caivano, luogo di scambio e consumo di droga, e chissà di quante altre violenze poco denunciate, all'interno di un quartiere in cui non solo è assente lo Stato nella sua veste di guardiano, lo è in tutti i sensi, poteva certamente essere evitato: semplicemente smantellando e risanando quell'area.

I cambiamenti culturali e sociali richiedono tempo, gli effetti di una legislazione più severa, anche.

Al contrario, rendere più sicuro un territorio, pure qui senza over reaction (sguinzagliare l'esercito serve a poco), permetterà almeno di ridurre le mattanze collettive contro giovani donne o addirittura, come a Caivano, contro delle bambine.

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