Cronache

Strage Connecticut, colpa dei videogiochi

Dopo la tragedia di Newtown si è riacceso il dibattito sulle armi. Ma il problema è più complesso

Strage Connecticut, colpa dei videogiochi

Non si è ancora spenta l'eco per la strage alla scuola elementare “Sandy Hook” di Newtown, nel Connecticut, dove un ragazzo di 20 anni, Adam Lanza, ha ucciso venti bambini e sei adulti. In America – e di riflesso anche da noi – è riesplosa la polemica sul possesso delle armi. Ma altri aspetti sono stati solo sfiorati dai giornali. Si è parlato dei problemi di salute che aveva il killer, affetto da una forma di autismo. Si è dato poco peso, invece, alla sfrenata passione che Adam aveva per alcuni videogiochi violenti. Eppure sarebbero questi due elementi - malattia e videogames - uniti ad alcuni “errori” compiuti dalla madre, a scatenare la strage. Abbiamo cercato di approfondire il tema con due esperti.

Silvio Zatelli, psicologo e psicoterapeuta, rimprovera stampa e media mondiali: “Con perfetto strabismo politico, affrontano il problema solo sul piano legislativo del controllo di un certo tipo di armi ma si guardano bene nell'analizzare il fatto sul piano psicosociale e di antropologia culturale, medico e culturale. Alcuni soggetti autistici e anaffettivi - prosegue Zatelli - crescono ma non riescono a interagire col calore umano perché prigionieri del loro deformato mondo interiore. Da adulti la società li rimuove dalla sua agenda come vigilanza, assistenza e cura. È clinicamente noto che da adulti risorgono come soggetti con reali disturbi di personalità, ma tutti si disinteressano di loto a meno che emergano poi con efferati delitti, con autopunizione finale”.

“Finiamola con l'assolutorio raptus mentale - tuona Zatelli -. La vera deflagrazione era da tempo avvenuta nella mente di Adam Lanza, lentamente, non spontanea, coltivata al poligono di tiro, premeditata, pianificata in anticipo perché vittima di una mente ambigua che imbroglia se stessa, con un livore e un odio interiore represso che viene da lontano, forse dalla stessa infanzia vissuta in quella scuola, a cui non par vero di colpire anche il potere direttivo e quello più occulto della psicologa”.

“Adam - conclude lo psicologo - è un giovane della porta accanto, abbandonato ai suoi disturbi di personalità e asocialità, coltivato dall'odio virtuale dei videogiochi stragisti, che ti invitano a fare carneficine, nella finzione dello strumento digitale, che, in menti predisposte a far tornare i conti con una aggressività intensa e repressa per molti anni, decidono di toglier quel sottile foglio che ormai separa il mondo reale da quello virtuale, quello normale, e quello patologico così di moda nei film horror e in serial tv come Criminal minds”.

Sul tema dei videogiochi si sofferma anche Roberta Bruzzone, criminologa e psicologa forense: “Con alcune tipologie di persone propense all'isolamento il videogioco diventa un'attività compensatoria che va ad alimentare l'autostima, con uno forte scivolamento della percezione della realtà che tende a privilegiare quella virtuale, dove il soggetto si sente più potente e sicuro di sé”. In questa situazione normalissime frustrazioni, la criminologa cita ad esempio il rifiuto di un amico o un brutto voto a scuola, possono diventare delle “onte” assai difficili da superare.

La Bruzzone punta il dito sulla madre “molto narcisista” del ragazzo, che negava la malattia di suo figlio incentivandolo a primeggiare a scuola ma ignorando i suoi gravi problemi di relazione con il mondo. Il ragazzo viveva nel seminterrato della casa materna, dove aveva bagno, camera da letto, stanza con tv, computer. Alle pareti poster di armi e mezzi militari. Il suo unico collegamento con il mondo era sua madre. Quell'isolamento innaturale, esaltato anche dai videogiochi, di sicuro è stato fatale ad Adam: “Con certi giochi molto violenti si sollecitano circuiti particolari a livello di corteccia cerebrale. C'è una forma di apprendimento selettivo e sistematico che produce risultati molto pericolosi, specie nei bambini e nelle persone con problemi psichici”.

Chi scrive non è un appassionato di videogiochi. Alcuni anni fa, per pura curiosità, trascorsi diverse ore a giocare a Tekken 3 sulla Playstation. Mi bastò così poco tempo a far salire il mio livello di aggressività. Lo racconto alla dottoressa Bruzzone, che mi fa notare questo: "Consideri che lei era un adulto e non aveva problemi psichici. Pensi cosa può accadere se un bambino viene lasciato giocare ore ed ore, per mesi e mesi, con certi giochi violenti"... Giochi la cui vendita è vietata ai minori di anni 18, ma che molti genitori regalano ai propri figli.

Si può comprendere che l'attenzione di tutti i media, subito dopo la strage, si sia concentrata sul tema delle armi (per pigrizia intellettuale e scarsa voglia di approfondire). Ma limitarsi a questo aspetto sarebbe sbagliato e non aiuterebbe, neanche in minima parte, a evitare che casi simili si ripetano.

E non solo in America.

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