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Sul carro Pd adesso tornano persino i vip

Sul carro Pd adesso tornano persino i vip

Inevitabile davvero la citazione alla raccolta di Stephen King, maestro della letteratura dell'orrore, divenuta poi, nel 1991, il titolo del film di Tom McLoughlin: A volte ritornano. Racconti della paura, più reali che fantastici. I mostri, ancora una volta, sono tra noi, anche quando pensavi di averli sepolti nei meandri più cupi e bui, ecco che si ripresentano, immarcescibili e identici.

Va detto che non difettano di ottimismo. È bastata l'affermazione di Nicola Zingaretti alle primarie del Pd (come si fa a parlare di vittoria? Vittoria è quando sfidi un avversario, non quando giochi un'amichevole contro la squadra primavera) per ridare fiato ad attori, cantanti, registi, opinionisti del cinema, della cultura e dello spettacolo con discorsi niente affatto nuovi ma appunto ritornanti.

In barba al rinnovamento, la sinistra riprende in mano gli stessi temi di sempre, quelli che l'hanno portata al fallimento elettorale: nessuna voglia di guardare avanti, di intercettare un elettorato più giovane (Zingaretti piace agli over 50 istruiti, sai che novità), di ipotizzare una forma politica più trasversale e moderna. No, è sempre la stessa salsa, insipida e annacquata, eppure bastano delle consultazioni interne per riconquistare pagine e pagine sui giornali, spazio nei tg, analisi sui social, segno evidente che per un certo tipo di comunicazione «dire qualcosa di sinistra» fa audience, eccome.

Ritornano dunque compatti anche quei testimonial che la sinistra l'abbandonarono, folgorati dalle promesse dei Cinque Stelle, che non ci credevano e che, pentiti, non chiedono scusa ma chiedono la riammissione. «Quindi Marlena torna a casa, che il freddo qua si fa sentire», cantano i Maneskin e anche Sabrina Ferilli torna all'ovile, proprio lei figlia di un dirigente Pci, che se ne era andata sbattendo la porta, così la sinistra recupera un po' di maturo e verace sex appeal. Torna a casa Nanni Moretti all'insegna del «basta fuoco amico», proprio lui che nella sua uscita più famosa massacrò la classe dirigente del partito, definendola fallita e perdente. Torna a casa nella stessa settimana del debutto al cinema del suo competitor, che tenta il doppio ruolo tra cultura e politica come fece decenni fa Amintore Fanfani (segretario Dc e pittore astratto). «Un film di Walter Veltroni» è una formula che fa rabbrividire, il ritratto di un «osservatore di arcobaleni» tra Salinger e l'amato (e saccheggiato) Ivano Fossati fin dal titolo «C'è tempo». Capolavoro in pectore per la stampa, l'autore ci rassicura che con questo film «l'Italia uscirà dal buio». Ci rassicura un altro figliol prodigo, l'attore Massimo Ghini: è vero, a sinistra si litiga perché c'è dialettica e non un leader, ma questa volta andranno tutti dalla stessa parte.

Se proprio di cinema vogliamo parlare, si tratta allora di un film già visto. Già visto, eppure inquietante come un horror. Perché i mostri sono sempre gli stessi, parlano sempre la stessa lingua, fautori di quell'eterno ritorno che in politica suona come la riproposizione dell'usato sicuro. Sarebbe però sbagliato minimizzare la ritrovata sicumera della sinistra e liquidarla troppo in fretta. Un sistema abituato a gestire la cultura tende a ripresentarsi periodicamente, perde la coda ma ricresce. In passato il centrodestra commise l'errore gravissimo di lasciare ad altri questo settore strategico, oggi non deve più accadere, soprattutto ora che i giovani non subiscono più il fascino del Pd, non sono indottrinati e chi vota lo fa liberamente. Basterebbe proporre un modello nuovo, al passo coi tempi, innovativo, fresco, che parta dalla scuola, dal lavoro, in totale discontinuità con qualcosa che ben conosciamo e seppellire per sempre i fantasmi e i mostri.

Così non tornerebbero più.

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