Cronache

La svolta federalista che serve al Paese

La svolta federalista che serve al Paese

Manca ormai solo un mese al referendum autonomista del prossimo 22 ottobre che interesserà il Veneto e la Lombardia e che, sul piano politico, si presta a tutta una serie di contrastanti interpretazioni.

Non è un caso che il voto abbia luogo in due regioni del Nord a guida leghista, dato che da più di trent'anni il dibattito pubblico ospita una forte richiesta di autogoverno da parte delle realtà settentrionali. E anche se oggi la Lega ha smesso di essere focalizzata su tali temi, una parte rilevante del suo elettorato continua a sperare nel conseguimento di qualche forma di autonomia.

E al tempo stesso è più che legittimo essere scettici. In fondo, la genericità dei quesiti è tale che sotto certi aspetti si chiede a lombardi e veneti se sono d'accordo con il Titolo V della Costituzione, che permette un'ampia localizzazione di poteri e competenze. Il guaio è che, nel parlamento romano, non c'è una maggioranza disposta a restituire autonomia a Lombardia e Veneto e, soprattutto, a far sì che una parte significativa di quanto oggi queste due regioni versano allo Stato rimanga dove viene prodotta.

Una svolta federale sarebbe importante, perché abbiamo bisogno di responsabilizzare gli amministratori locali (che prima di spendere devono tassare), accrescere la concorrenza tra regioni, permettere opzioni politiche diverse nei vari territori. Ma è chiaro a tutti che oltre alla mancanza di ogni consenso per simili riforme, la situazione del debito pubblico è tale che a Roma si farà di tutto perché la montagna partorisca un topolino. Il referendum si terrà e con ogni probabilità sarà vincente in Veneto come in Lombardia: i risultati concreti che ne deriveranno, però, saranno assai limitati, per non dire nulli.

Eppure - e, per certi aspetti, contro le stesse intenzioni di Matteo Salvini - i due referendum potrebbero riportare i territori al centro della discussione. Un primo segnale sta nel fatto che Forza Italia si è detta favorevole a tenere referendum analoghi in tutte le altre regioni e che perfino molti esponenti locali della sinistra, in Veneto e in Lombardia, si siano schierati per il Sì.

Una cosa ad ogni modo è chiara: e cioè che, sebbene l'avvio di un processo riformatore federale sarebbe destinato a giovare a tutti, esso non può avere luogo senza ridurre la redistribuzione delle risorse. D'altra parte, Veneto e Lombardia furono le uniche due regioni che nel 2006 votarono a favore del referendum detto della «devolution», e lo fecero perché videro in quel voto la possibilità di un qualche sganciamento da Roma.

Difficilmente il voto del 22 ottobre permetterà a veneti e lombardi di ottenere vere forme di autogoverno, né tanto meno si può pensare che esso farà ridurre il fardello che pesa su veneti e lombardi.

Ma nonostante ciò è possibile che, in questa fase di forte delegittimazione della politica, la richiesta di vere autonomie possa tornare al centro della scena: con esiti che oggi nessuno può prevedere.

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