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Tacco di Icardi è quadripletta Torna il calcio da cortile

Tacco di Icardi è quadripletta Torna il calcio da cortile

Ci sono giorni in cui la palla ti benedice e sceglie te come compagno di gioco. Sono leggeri e fortunati. Sono giorni di quaterna, poker e quadripletta, così rari che non sai neppure bene come chiamarli. È la seconda volta che accade a Maurito Icardi, la prima a vent'anni con la maglia blucerchiata della Sampdoria, la seconda ieri, in nerazzurro, proprio contro la Samp. A un certo punto Marassi quasi non c'era più. Non c'era lo stadio, la serie A, il pubblico intorno, i cartelloni pubblicitari e le maglie con lo sponsor, l'angoscia di chi smarrisce da troppo tempo la strada che porta in Europa. Niente di tutto questo. Se ci pensi segnare quattro gol in una sola partita non è roba da professionisti. È un'anomalia, quasi un errore o un salto nel tempo. È calcio da innamorati, amatoriale, da spensierati, da chi per un giorno gioca per il gusto di giocare. Calcio da cortile o dai campetti di un tempo, da oratorio, da periferia, da quattro pietre per fare due porte o da vecchio videogame, perché quelli nuovi sono ormai per professionisti. Icardi ieri sorrideva come un bambino e parlottava con Ivan Periic senza rancore, ora che il croato ha ritrovato il pianeta terra ed è tornato a segnare, il primo gol, quello che conta. Non è che quelli di Maurito non siano veri gol, ma sono in quel limbo indefinito tra la leggenda e la partitella improvvisata dopo una giornata di pioggia. È il calcio bailado, calcio di allegria, che sembra avere i colori arancioni e neri del Super Santos. Forse è stato davvero così.

Icardi tira il rigore e spiazza Viviano. Non tira forte e neppure angolato. Fa una mezza finta mimando lo stop della corsa. Il portiere è già a terra alla sua sinistra e il centrattacco appoggia piano, serafico, a destra: senza timori, senza ombre, senza fantasmi. Il secondo è un tacco a tre metri dalla porta, di spalle, che in genere quando ci provi finisce sullo stinco di qualcuno e invece va dentro, beffardo. Il terzo è di sinistro, come se tra Maurito e il pallone ci fosse un appuntamento già segnato sull'agenda. La palla lo cerca perché è innamorata di lui. Il quarto è al volo, sbilenco, con la sfera colpita dall'alto in basso, tanto che rimbalza e il terreno bagnato la fa impennare su, come una palombella di sponda, come se quella pozzanghera fosse uno specchio magico. Queste cose le fai solo con un Super Santos. Le fai con l'acqua di marzo, mese balzano, al confine tra l'inverno e la primavera, quando la pazza Inter, seppure ufficialmente in trasferta, si sente a casa sua.

Questa quaterna o quadripletta racconta però tante altre cose. Non è un caso che sia Icardi a siglarla e non importa che qualcuno sussurri che i suoi gol sono spesso inutili, perché ne fa tanti quando ne basterebbe uno e si perde nelle giornate buie. Non importa che non sia un attaccante moderno, che gioca di sponda e fa salire la squadra. Questi quattro gol narrano che lui è un centravanti con l'Inter nel destino. È l'erede di una schiatta di grandi attaccanti e li trovi nelle statistiche e nel club dei pokeristi nerazzurri. In principio c'è naturalmente il Balilla, Peppino Meazza. Due volte: alla Roma nel 1930 e alla Lazio nel '33. Poi Attilio De Maria contro la Sampierdarenese, una costola con la Andrea Doria da cui nasce la Samp. Ci sono Giuseppe Baldini e Bruno Quaresima, che non è un refuso della sciagurata trivela Quaresma, l'unico a fare poker nello stesso anno. E poi Benito Lorenzi, Amedeo Amedei, romano con il cuore nerazzurro, Istvan Nyers e Eddie Firmani, Roberto Bonimba Boninsegna, anche lui due volte, contro il Foggia e il Cagliari. Ci sono Spillo Altobelli, Christian Vieri e Diego Milito. Allora sarà pure vero che i gol si pesano e non si contano e Maurito, purtroppo, non ha ancora vinto nulla, ma questi sono giorni da prendere così, con leggerezza.

Sono i giorni in cui l'Inter è una ragazza di 108 anni capricciosa che per un attimo smette di macerarsi e ti regala un sorriso sincero.

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