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La traversata nel deserto lumbard

La traversata nel deserto lumbard

«Andare a Washington per incontrare Trump al Cpac? Inutile, tanto ci vedremo tra qualche mese al prossimo G7 al quale parteciperò in veste di presidente del Consiglio». Era febbraio e Matteo Salvini rispondeva così a chi lo invitava a prendere parte all'annuale convention dei conservatori americani per costruirsi un profilo internazionale e accreditarsi con il presidente statunitense. Sono passati sette mesi e la distanza tra le aspettative del leader della Lega e la sua condizione attuale è siderale. Non solo la poltrona di Palazzo Chigi non è affatto dietro l'angolo, ma un mese dopo aver aperto una surreale crisi al buio Salvini si ritrova costretto a ricominciare dall'opposizione quella che rischia di essere una lunga traversata nel deserto.

Quanto politicamente in affanno sia il leader della Lega lo racconta la piazza di ieri, quella organizzata da Giorgia Meloni davanti a Montecitorio per protestare contro il Conte bis. Già, perché proprio quel Salvini che poche settimane fa guardava con indifferenza a Fratelli d'Italia e pure a Forza Italia, ieri si è ritrovato a rincorrere quella piazza. L'uomo che era convinto di avere il Paese in mano e la leadership del centrodestra ormai saldamente in pugno, infatti, non ha potuto fare a meno di salire sul palco, conscio che lo scenario è cambiato e che è finito il tempo di fare gli schizzinosi. E la fotografia che più rende l'idea è quello che immortala Salvini a fianco di Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e colonnello di Fdi da sempre molto critico verso la Lega. Il nuovo corso, insomma. Sul quale pare non si sia ancora sintonizzato il capogruppo del Carroccio Riccardo Molinari che sceglie invece di non salire sul palco. «Questa non è la nostra piazza, ma cosa c'entro io?», confida a chi gli sta a fianco. Il cambio di marcia lo coglie invece la Meloni. Che infatti si premura di ringraziare Salvini per «aver preso parte alla manifestazione di Fratelli d'Italia». In privato, nei giorni scorsi, era stata ben più brusca. «Ci siamo sentiti il 7 agosto e non si è neanche degnato di dirmi che apriva la crisi e ora prova a mettere il cappello sulla nostra piazza», si era sfogata.

Certo, al di là del sensibile calo nei sondaggi, chi manifesta davanti a Montecitorio è ancora con Salvini. Che sceso dal palco viene acclamato dai sostenitori tra abbracci e selfie. Ma il problema per il leader della Lega rischia di essere proprio quel Palazzo contro il quale si scaglia. Se il governo giallorosso dovesse tenere, infatti, il tempo potrebbe non essere dalla sua. Ci sarà il filotto delle Regionali, è vero. E nei prossimi mesi - a partire dal voto in Umbria - l'ex ministro dell'Interno punterà molto sulle Amministrative per mettere sotto pressione l'esecutivo. Il rischio concreto, però, è che si apra un confronto in Parlamento su una nuova legge elettorale proporzionale che potrebbe coinvolgere anche pezzi dell'opposizione. Forza Italia o +Europa, per esempio. E a quel punto la riforma elettorale diventerebbe una sorta di «clausola di salvaguardia» del Conte bis. Nel medio periodo, insomma, Salvini dovrà avere la forza di tenere il passo, soprattutto se nel frattempo si andrà disegnando una prospettiva proporzionale. Uno scenario in cui vincono le coalizioni e gli estremi sono costretti a lasciare spazio al centro. Con candidati premier che sono quelli in grado di fare la sintesi tra le diverse anime dello schieramento. Insomma, non necessariamente un Salvini. Che un po' in questo burrone ci si è gettato da solo aprendo la crisi. Lo sa bene Giancarlo Giorgetti. «Ce l'hanno tutti con Matteo, povero Cristo...

Era l'unico che voleva andare avanti, mentre tutti noi gli dicevamo di rompere», la butta lì nel cortile di Montecitorio come a sollevarlo da un peso.

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