Cronache

Violenza dell’ergastolano in permesso premio, il carcere: “Cianci era cambiato”

L’ergastolano Antonio Cianci aveva ottenuto un permesso premio di 12 ore sulla base di una norma che prevede la valutazione di buona condotta e assenza di pericolosità sociale

Violenza dell’ergastolano in permesso premio, il carcere: “Cianci era cambiato”

Sono passati 40 anni ma Antonio Cianci non sembra essere poi essere cambiato molto. L’uomo di 60 anni, all’ergastolo per aver ucciso tre carabinieri, ieri ha tentato di uccidere un anziano per rapinarlo all’interno del parcheggio del San Raffaele.

Ma perché Cianci era fuori? Secondo la relazione fornita dal carcere di Bollate favorevole alla concessione del permesso premio, disposto dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, l’assassino era cambiato tanto aver fatto un positivo percorso di ravvedimento, nella piena consapevolezza. L’uomo, in sostanza era maturato ed era considerato affidabile.

E così gli è stato concesso un permesso "di 12 ore" sulla base di una norma che prevede la valutazione di buona condotta e assenza di pericolosità sociale. Ma dopo i fatti di ieri, tutte le belle parole sembrano evaporare come neve al sole. In base a quanto ricostruito dalla polizia, Cianci indossava una felpa da inserviente del San Raffaele quando si è avvicinato all’anziano di 79 anni, in ospedale per far visita ad una parente, nel piano 'meno 1'

L’ergastolano ha iniziato a minacciare il pensionato per sottrargli il cellulare. Davanti alla resistenza opposta dal vecchietto, Cianci ha perso la testa e l'ha colpito vicino alla giugulare con un taglierino. Non appena ha visto gli agenti avvicinarsi a lui nei pressi della stazione della metro di Cascina Gobba, il violento ha gettato arma e telefono in un bidone. Non si sa cosa ci facesse nell’ospedale. Sembrerebbe che l’uomo avesse ottenuto un permesso premio per andare a trovare la sorella nell'hinterland milanese.

La vicenda ha sconvolto l’opinione pubblica e ha messo in subbuglio la politica.Secondo quanto appreso dall'Ansa, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha dato mandato all'Ispettorato di compiere accertamenti sulla vicenda. Già domani potrebbe essere interrogato dal gip, mentre la procura chiederà la convalida del fermo e la custodia in carcere con le accuse di tentato omicidio e rapina.

Un profondo sconcerto per l’intera vicenda è stato espresso da Daniela Lia, figlia di Pietro Lia, il carabiniere di 51 anni ucciso assieme ad altri due militari nel '79 per mano di Cianci. "Sono sconvolta dal fatto che si sia permesso a questo essere ignobile che massacrava senza pietà, di mettere un'altra famiglia in condizioni di dolore, calpestando e oltraggiando, tra l'altro, ancora la memoria di mio padre e dei suoi colleghi".

Ma il massacro dei militari non era stato la prima azione da killer spietato per Cianci. Quest’ultimo già cinque anni prima, a soli 15 anni, aveva ucciso Gabriele Mattetti, un metronotte di 29 anni. La vittima fu colpita prima alle spalle e, una volta a terra, fu finita con due proiettili al viso e uno al cuore. Infine, l’assassino gli rubò l’arma ritrovata nello schienale di una poltrona del soggiorno di casa del criminale.

Sulla questione è intervenuta anche Emanuela Piantadosi, presidente dell'Associazione Vittime del Dovere e figlia del maresciallo Stefano Piantadosi, ucciso a Opera nel 1980 da un uomo che stava controllando e che era un omicida evaso dal carcere:"Quanto altro spargimento di sangue si dovrà avere prima che il ministro della Giustizia e il governo prendano coscienza di quanto sia fondamentale monitorare seriamente la recidiva in questo Paese?".

La stessa Piantadosi afferma che dalla precedente legislatura è stato chiesto al Ministero che venisse misurata “con dati certi ed inequivocabili la recidiva che rappresenta quel metro di misura essenziale per stabilire se un condannato abbia preso coscienza dei reati commessi, abbia scontato consapevolmente la sua pena e sia stato effettivamente rieducato, secondo quanto stabilito dalla costituzione art 27”.

Dopo un primo colloquio avvenuto nel 2018, però, non ci sono state novità tanto che “al ministro Bonafede sono stati sollecitati ripetutamente incontri, mai più accordati, per avviare uno studio serio sulla recidiva, per garantire certezza della pena, per istituire un tavolo per le vittime di reato, per aprire un dibattito sul processo penale, al fine di dare un peso e un ruolo effettivo, che non sia solo risarcitorio, alla vittima poiché in Italia le ragioni delle vittime e la sicurezza della collettività contano meno dei diritti dei delinquenti".

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