Cronache

Vorrei adottare un bimbo ma la burocrazia me lo vieta

Code, tonnellate di carta, controlli infiniti e visite mediche farsa. Aspetti quattro anni e poi la risposta choc: "Tutto archiviato"

Caro direttore, con mia moglie, prima di affrontare l'odissea dell'adozione, ci chiedevamo come mai gran par­te delle coppie che sentono questa spinta d'amore andavano a cerca­re bambini all'estero e non in Ita­lia. Dopo quattro anni di esperien­za sulla nostra pelle siamo arrivati a una prima, parziale e triste rispo­sta. La burocratica e farraginosa ge­stione delle adozioni nazionali, grazie a leggi e cavilli da azzecca­garbugli, non aiuta le coppie che vogliono accogliere un bimbo ab­bandonato in casa propria, ma le ostacola.

Nella nostra famiglia è già arriva­ta da otto anni una bella bambina naturale. Dopo la gioia del primo fi­glio e la perdita del secondo du­rante la gravi­danza abbia­mo deciso di aprire le porte del cuore all' adozione, sen­za immaginare che saremmo andati incon­tro a un’odis­sea capace di mettere ko le coppie più toste.

Nel 2008 abbiamo chiesto di adottare un bambino presentan­do regolare domanda all'ufficio del tribunale dei minori di Trieste. La prima valanga di documenti ri­chiesti doveva già farci capire che conta ben più la burocrazia che l'amore. Sposati da quasi dieci an­ni e conviventi da 20, mia moglie e io, abbiamo dovuto presentare l'assenso dei nostri genitori e dei nonni del futuro figlio adottivo, co­me se fossimo dei ragazzini.

Per un anno, quando sarebbe ba­stata una settimana, ci hanno mes­so sotto i raggi X psicologi e assi­stenti sociali, neanche fossimo se­rial killer. Le domande sulla nostra vita partivano dall'asilo. Pure Bea­trice, figlia naturale, è stata sotto­posta a scrutinio, ma abbiamo se­renamente accettato convinti che servisse per il bene del futuro bam­bino adottato.

Per non parlare delle visite lega­li. L'appuntamento te lo fissano sempre in orario di lavoro, nelle ore più incasinate. Poi arrivi e un medico ti guarda negli occhi, ti chiede se stai bene, non ti fa nem­meno spogliare e firma una carta che sei a posto. La visita è tale, che il giorno dopo potresti morire di in­farto.

Il 24 settembre 2009 abbiamo ot­tenuto l'agognato decreto di ido­neità dal tribunale. L'unico docu­mento ufficiale che ti rilasciano e dovrebbe fare testo come punto di partenza. Invece non è così.

Non solo: Per l'adozione interna­zionale ci vogliono anni, ma quel­la nazionale è praticamente im­possibile.
Sembra assurdo, ma se da Trieste vuoi entrare nelle liste di genitori adottivi a Catanzaro devi mandare documentazione e ri­chiesta al tribunale locale e così via. Non solo: anche spedendo la domanda in tutta Italia la tempisti­ca varia da 6 a 10 anni.

Per l'adozione internazionale abbiamo scelto la Colombia, ma fi­no a quando è possibile non vole­vamo mollare la strada nazionale per concedere uno spiraglio di spe­ranza anche a un figlio della nostra terra. Giusto per complicare la vita alle coppie adottive ogni tre anni bisogna rinnovare la domanda con i soliti documenti. Per il certifi­cato penale e i carichi pendenti, che non vengono chiesti con tale solerte assiduità neppure ai mafio­si, il tribunale è automatizzato. Nel senso che puoi scaricare i moduli da internet, ma poi devi compilarli e consegnarli a mano, sempre nei peggiori orari di lavoro. Se sgarri di un minuto devi pregare in ginoc­chio che accettino la pratica. Final­mente, ieri, dopo le solite e inutili visite legali, sono riuscito a presen­tarmi in tribunale per rinnovare la domanda di adozione nazionale e rimanere in lista d'attesa. Una so­lerte operatrice giudiziaria sfoglia i documenti senza trovare nulla di anomalo. Poi digita due tasti su un computer e un po' stizzita dichia­ra: «La vostra richiesta di adozione nazionale è decaduta. Non l'avete rinnovata nei tre anni previsti». Pensando a uno scherzo di cattivo gusto sventolo il decreto di idonei­tà, l'unico documento del tribuna­le in nostro possesso, dove è stam­pato a chiare lettere 24 settembre 2009. Se la matematica non è un' opinione e ci aggiungiamo tre an­ni siamo ancora in tempo.

L'occhio vigile dell'operatrice sembra infuocarsi e con puntiglio­sità burocratica mi mette in mano il fac simile della domanda, che avevamo presentato nel 2008. Al punto 5 dell'ultima riga c'è scritto: «Di essere a conoscenza che la do­manda decade se non­è firmata en­tro il Triennio dalla data di presen­tazione ». Da notare che questo fo­glio l'avevamo compilato e conse­gnato al tribunale, che non ci ha ri­lasciato alcuna copia.

Quattro anni dopo avremmo do­vuto ricordare che la data di rifer­i­mento era quella della domanda e non del decreto, come sarebbe lo­gico. Avvisarci, manco a parlarne. Possiamo ripresentare la doman­da ex novo, ricominciando l'odis­sea dall'ultimo posto in lista d'atte­sa.

Una vergogna. Perché tante as­surde complicazioni e tanto tem­po, perché così pochi bimbi italia­ni dati in adozione? Una domanda di fronte alla quale si insinua una possibile, probabile, risposta che fa male: i bambini italiani senza ge­nit­ori sono ospitati da strutture die­tro lauto compenso.

Forse non si vuole rovinare un così bel giro d’af­fari.

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