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Dopo Vasto, Narni. Quelle foto tristi della sinistra

Dopo Vasto, Narni. Quelle foto tristi della sinistra

Nessuno dei cinque assomiglia davvero a un leone e la foto di Narni non sembra una profezia. Sono le dieci e trenta del mattino e le elezioni in Umbria sono ancora un punto sfocato all'orizzonte. Al centro c'è Vincenzo Bianconi, senza cravatta e un gilet chiaro che illumina la scena. È lui il candidato, ma appare come un'anomalia. Gli altri quattro sono in blu, con cravatte che vanno dal viola al grigio maculato. Tre sembrano in barriera con le mani conserte a proteggere le parti basse. Il quarto abbraccia sulle spalle il candidato. È Nicola Zingaretti (...)

(...) e sorride con incauto ottimismo. Il ministro Francesco Speranza, distaccamento Leu della sinistra ritrovata, ha la faccia da prima comunione. Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, affiancati, sorridono a stento. Tutti e quattro, più uno, dovrebbero essere il ritratto della maggioranza di governo, le facce che raccontano la stagione anti sovranista, qualcosa di simile ai volti pietrificati del monte Rushmore, solo che qualcosa non funziona. Non è per i sorrisi e neppure per le cravatte. È un'immagine che sta lì a segnare una rinascita, ma l'unica cosa che arriva è un malcelato imbarazzo. Non è paura. È fastidio. È evidente che ognuno sta pensando a una buona ragione per non essere lì. Zingaretti sente la sua poltrona di segretario del Pd sempre più incerta. Il voto di domenica è una campana di cattivi presagi. Speranza si interroga sulle ragioni sociali del suo partito. Leu è una succursale inutile del Pd. Conte si vede come leader di questa coalizione, ma passa il tempo a chiedersi chi sarà il primo a pugnalarlo alle spalle. Gli indizi portano a chi in questa foto non c'è, quel Matteo Renzi che si è apparecchiato al governo solo per rompere le scatole. Accanto al premier c'è però qualcun altro che considera Conte una sorta di usurpatore. Di Maio sta pensando che in quel quadretto sono in troppi. Tutti insieme comunque aspettano che la profezia si avveri: battere Salvini ora e per sempre.

Siccome siamo a Narni c'è in questa cronaca anche un armadio, una macchina del tempo, che ci fa viaggiare a ritroso fino al settembre del 2011. Napolitano ha già complottato. Monti si aggira intorno a Palazzo Chigi, lo spread si manifesta come una maledizione sulla scena politica, ma il Sole 24 Ore non ha ancora titolato la sua prima pagina con l'imperioso «Fate presto». A Vasto, davanti alle mura del Palazzo d'Avalos, Pierluigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro si fanno fotografare per certificare la nascita del patto contro Berlusconi.

Eccolo il salto nel tempo. Il passato che ritorna, con il solito schema e la stessa vocazione nel riconoscersi solo nell'occhio del nemico. Bersani allora faceva il Pd, Vendola narrava progetti con il marchio Sel, l'equivalente dell'attuale Leu (ma perché scelgono sempre sigle del cavolo?) e Di Pietro era di fatto un grillino senza Rousseau. Quell'immagine durò meno di una stagione. Il Pd scelse Monti come nuovo profeta. Vendola e Di Pietro sono svaporati, ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi.

Tutte e due le foto, quella di Vasto e quella di Narni, raccontano lo stesso inguaribile difetto, quello stare insieme soltanto in antitesi, mai per un'idea. L'idea l'hanno persa anni e anni fa e faticano a trovarla ancora adesso. È il male oscuro della sinistra italiana e non basta una fotografia per trovare la cura. È la stessa maledizione che riappare a «Narnia»: l'attesa di una profezia che non si avvera. E non basterà neppure vincere le elezioni in Umbria per renderla reale. «Verrà il tempo in cui tre partiti libereranno Narnia dalla tirannia. Il dolore sparirà, quando Aslan comparirà. Se lui scuote la criniera, qui torna la primavera». Solo che qui siamo a Narni e non si vedono leoni.

Vittorio Macioce

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