Cronache

D’Albertis, l’esploratore ciclista che correva a piedi fino a Nizza

L’illustre capitano, che donò a Genova una ricca collezione di cimeli, ebbe una vita avventurosa

D’Albertis, l’esploratore ciclista che correva a piedi fino a Nizza

Navigatore, esploratore, geografo, botanico, etnologo, scrittore, filantropo, inventore, disegnatore, fotografo, ciclista e gran maratoneta. Il capitano Enrico Alberto d'Albertis - la cui memoria è legata all'omonimo castello genovese da lui stesso disegnato con il gusto del collage architettonico e del revival neogotico (l'opera venne realizzata tra il 1886 e il 1892 da Alfredo D'Andrade, sulle rovine del bastione medioevale di Monte Galletto) - è senz'altro una delle figure più poliedriche e squinternate che la Superba abbia mai partorito nel corso della sua lunga storia. Basti pensare che nel 1872, a 26 anni di età, questo talentuoso e bizzarro giovanotto coprì a tempo di record la distanza tra Genova e Torino in sella ad un velocipede in legno munito di ruote metalliche, superandosi poi l'anno seguente percorrendo questa volta a piedi, e di corsa, l'incredibile tratta Genova-Nizza in un tempo di poche ore inferiore a quello impiegato dalle carrozze a cavallo di linea. Nella città francese giunse mezzo morto e con i piedi ridotti a due bistecche alla griglia; ma ci arrivò, sembra, cantando una lirica in onore di Mercurio.
Nato a Voltri nel 1846, ultimo dei tre figli di Filippo e di Violantina Giusti, dopo aver frequentato il collegio torinese di Moncalieri, il giovane Enrico si iscrisse a quello genovese della Marina dal quale uscì nel 1866 con il grado di guardiamarina, facendo a tempo a partecipare alla disastrosa battaglia di Lissa che vide la numerosa ma inesperta flotta italiana dell'ammiraglio Carlo Pellion di Persano soccombere di fronte a quella austro-ungarica del ben più scafato parigrado Wilhelm von Tegetthoff. Dopo avere prestato servizio sulle corazzate Ancona e Formidabile, nel 1870, il d'Albertis, decise di lasciare la flotta da guerra, prendendo, l'anno seguente, il comando del trasporto Emilia con il quale attraversò, primo fra gli italiani, il nuovissimo Canale di Suez. Tra il 1874 e il 1880, d'Albertis si dedicò quasi ininterrottamente alla navigazione da diporto a bordo del suo yacht Violante, esplorando ogni angolo del Mediterraneo. Nel 1879, con Vittorio Vecchi, (meglio noto come Jack la Bolina) il conte Ponza di San Martino, i marchesi Doria e Imperiale e pochi altri appassionati di vela fondò il Regio Yacht Club Italiano (per la cronaca, il “guidone” del Violante, una stella bianca in campo azzurro, è stato per anni l'emblema del Club).
A partire dal 1882, d'Albertis, per il quale il Mediterraneo andava ormai troppo stretto, iniziò ad affrontare gli oceani, e a bordo del più robusto Corsaro ripercorse la rotta di Cristoforo Colombo fino a El Salvador e a New York, utilizzando soltanto copie, da lui stesso costruite, degli strumenti di navigazione in uso verso la fine del 1400, cioè il quadrante, l'astrolabio nautico, la balestriglia. L'impresa, realizzata in occasione del quattrocentesimo anniversario della traversata del Grande Navigatore, gli valse la nomina a capitano di corvetta della riserva. Tra il 1895 ed il 1896, d'Albertis compì il suo secondo periplo del globo, affrontando, anche questa volta, tifoni e uragani. E dopo un periodo di relativo riposo ch'egli trascorse visitando l'Italia e quasi tutta l'Europa, nel 1900, non poté fare a meno di intraprendere una nuova, lunga navigazione alla ricerca di nuove avventure ”no limits”. Nell'arco di un paio di anni, visitò Tripolitania, Algeria, Tunisia, Egitto, Sudan ed Eritrea, e nel 1905, la Somalia. Durante una sosta ad Alessandria d'Egitto, d'Albertis conobbe l'egittologo Ernesto Schiapparelli e, quasi all'improvviso scoprì una sua nuova inclinazione, l'archeologia, partecipando a fianco dello scienziato biellese a diverse campagne di scavo a Luxor, nella Valle delle Regine. Nel 1906, percorrendo le orme degli esploratori portoghesi, inglesi e tedeschi, d'Albertis si addentrò nell'Africa Orientale (Kenya e Tanzania) e nei quasi sconosciuti Uganda e Burundi, effettuando anche una crociera esplorativa sul Lago Victoria a bordo di un guscio di noce.
Durante la sua permanenza nel Continente Nero, egli utilizzò tutti i mezzi di trasporto, dalla piroga al cavallo, all'asino, al mulo, al cammello e perfino alla zebra che, come è noto, non gradisce affatto essere cavalcata dall'uomo. Nel 1908, compì il periplo dell'Africa e nel 1910 completò il suo terzo ed ultimo viaggio attorno al mondo, trovando anche il tempo, tra una sosta e l'altra, per dedicarsi alla costruzione di vari marchingegni scientifici. Nota, a questo proposito, la sua passione sfrenata per le meridiane (ne fabbricò 103, l'ultima delle quali nel 1928 quando era ormai ultraottantenne) che disseminò nelle sue molte dimore di mare e di montagna. In età matura, iniziò a soffermarsi talvolta a Castello di Montegalletto, ma tra quelle mura egli trascorse in realtà pochissimo tempo, se non per morirvi il 3 marzo 1932. Nei rari periodi di inattività o di relax, d'Albertis amava soggiornare in Egitto, (per studi, ma anche per dare sollievo ai suoi frequenti reumatismi) o nel suo piccolo 'rifugio' di Capo Noli (una catapecchia di legno a strapiombo sul mare), o nella torre saracena del Campese, sull'isola del Giglio. Allo scoppio del primo conflitto mondiale, d'Albertis, nonostante la non più verde età, volle rientrare in servizio nella Marina Militare, effettuando diverse missioni e guadagnando anche una croce di guerra. L'ultimo decennio della sua spasmodica esistenza, il Capitano lo trascorse a consultare libri, a raccogliere memorie e a riordinare le sue infinite collezioni di armi ed oggetti scientifici di ogni tipo. Ormai piegato dagli anni non rinunciò comunque a provare l'ebbrezza del volo a bordo di grossi idrovolanti e fragili biplani dai quali scattò centinaia di foto.

Dopo la sua scomparsa, il poliedrico d'Albertis donò la sua magione di Montegalletto e i preziosi tesori in esso racchiusi alla municipalità di Genova che lo ribattezzò con il nome dell'illustre concittadino, adibendolo in seguito a sede del Museo delle Culture del Mondo.

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