Il decennio De Gasperi: la Dc conquista lo Stato

di Dopo le elezioni del 1948 era chiaro che all'Italia occorrevano riforme per migliorare la vita della gente, soprattutto di chi viveva in una campagna ancora arretratissima. Le riforme erano volute dalla sinistra Dc ma non dai conservatori, in particolare dai proprietari terrieri meridionali che temevano gli espropri. Quando, tra il 1948 e il 1949, ricominciarono le occupazioni delle terre, molti parlamentari democristiani del Sud chiesero l'intervento della polizia. Ministro degli Interni era Mario Scelba, democristiano di destra, e la sua polizia, «la Celere», rispose nel puro stile fascista in cui il ministro si era formato.
I contadini ebbero i terreni più difficili da coltivare, i meno produttivi, e molte famiglie non ottennero terra sufficiente a garantire la sopravvivenza. La riforma agraria era stata un bluff, pur avendo intaccato il predominio sociale e politico dell'aristocrazia e della borghesia fondiaria che, non potendo piegare del tutto la Dc, si spostarono su posizioni monarchiche e neofasciste. De Gasperi capì che doveva cambiare strategia passando dal controllo delle terre a quello delle risorse statali. I democristiani occuparono sistematicamente i posti chiave delle organizzazioni che controllavano i contributi statali (Federconsorzi, Coldiretti, Casse Mutue) e crearono la Cassa per il Mezzogiorno, i cui nefasti effetti assistenziali sulla società, non solo meridionale, sarebbero apparsi presto. Un simile cambiamento non poteva ripagare subito e nel Sud i democristiani persero molti consensi alle elezioni amministrative del 1951-1952. De Gasperi ricorse a una soluzione simile a quella adottata da Mussolini e a cui lo stesso De Gasperi non si era opposto venticinque anni prima: una nuova legge elettorale secondo la quale qualunque partito o coalizione avesse ottenuto più del 50 per cento dei voti avrebbe avuto i due terzi dei seggi della Camera. Assieme a quella che fu chiamata subito dall'opposizione «legge truffa», vennero varati decreti eccezionali che restringevano le libertà personali e rafforzavano i poteri di polizia e magistratura.
Nelle elezioni del 7 giugno 1953 i democristiani, per quanto alleati con liberali, socialdemocratici e repubblicani, ottennero «solo» il 49,85 per cento dei voti. I comunisti ebbero il 22,6 e i socialisti il 12,7, nel complesso il 4,3 per cento in più delle elezioni del 1948. I veri vincitori furono le estreme destre e i monarchici: il Msi passò dal 2 al 5,8 per cento e i monarchici dal 2,8 al 6,9. Era la fine di De Gasperi, ma anche il segnale che la strategia democristiana doveva essere rivista per non perdere il potere. L'uomo che per un decennio aveva guidato l'Italia e gli italiani moriva l'anno dopo a settantatré anni, mentre con il suo successore Giovanni Pella la conquista democristiana dello Stato fu portata a termine. Da allora la Dc mantenne il potere grazie a coalizioni con chiunque stesse al suo gioco e alla distribuzione di posti di lavoro nel pubblico impiego. Specialmente nel Sud nacque e fu soddisfatto il sogno del «posto sicuro». Nelle poste e nelle ferrovie, nell'esercito e nella burocrazia, lo Stato concluse con i suoi troppi dipendenti un patto perverso: «Ti do poco ma ti chiedo poco». Per il Pci e il Psi, dopo le elezioni del 1953 sarebbe stato il momento ideale per unire le forze ma la sinistra tendeva sempre più a frammentarsi e a logorarsi in una lotta fratricida. Tanto più perché il comunisti italiani puntarono sul mito dell'Unione Sovietica, rappresentata come lo Stato dove ogni problema sociale era stato risolto, la disoccupazione e la miseria sconfitte, l'orario di lavoro ridotto e il paradiso vicino: «Il primo paese della storia del mondo in cui tutti gli uomini sono finalmente liberi», scrisse Mario Alicata.
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