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Il disincanto dei romani: "M5S? Abbiamo visto di tutto"

Viaggio nella Capitale al voto, una città che ha dovuto tagliare le corse dei mezzi pubblici perché un quarto dei conducenti è impegnato alle urne. E la Raggi fotografa i giornalisti

Non sono ancora le 10 e Roberto Giachetti è già al seggio di Monteverde. Forse ha dormito male. «No, ho dormito benissimo, ma ho fatto tante notti in bianco in questa campagna elettorale e devo recuperare». Il candidato sorride, si mette in posa per davanti all'urna, si fa una selfie con una signora e se ne va. «C'è il sole, mi faccio un bel giro in moto». Ecco, bravo, in moto. In autobus sarebbe impossibile, visto che un quarto dei conducenti dell'Atac sono impegnati come scrutatori o rappresentanti di lista. Ottocentocinquanta, tra macchinisti, autisti e manovratori, in permesso per tre giorni: il Campidoglio ha dovuto tagliare il 25 per cento delle corse. Roma è anche questa.

Caldo, scetticismo, affluenza bassa. Eppure, girando per la città deserta come un archeologo in cerca di reperti, si possono ritrovare le vecchie scene del rassicurante rito collettivo. Le mamme con i bambini in braccio, gli anziani con il bastone, il poliziotto a cui affidare il cane nel cortile della scuola. E poi i giovani al primo voto, gli indecisi, i chiacchieroni ad alta voce, un signore in fila con il gelato, quello al telefonino: «Nun me convinci... io quella nu la voto manco se...». E il presidente che fa lo spiritoso. «Ecco, si riprenda pure il documento. Qui aveva i capelli, eh?». «Sì, è passato un po' di tempo», si difende l'elettore toccandosi la stempiatura.

Poche speranze, poche emozioni. Ma quando Giorgia Meloni si presenta nella scuola di viale Spalla trova un po' di fila. «Questo è un buon segno - dice - speriamo che alla fine l'affluenza sia alta». Poi scherza con i giornalisti. «No, ragazzi, non bloccate il seggio che mi vergogno». Prima di votare apre la scheda come un lenzuolo e la sventola. «No, oggi niente mare - spiega carezzandosi la pancia - Farò un giro per qualche sezione elettorale e poi mi metterò tranquilla ad aspettare i risultati nella sede del mio comitato». La Meloni sembra tesa, in effetti si gioca parecchio.

Il pomeriggio si annuncia più frizzantino. Alle quattro nella scuola Octavia, quartiere Trionfale, arriva Virginia Raggi tutta di nero vestita e nemmeno riesce ad entrare. Il muro dei fotografi schierati in attesa della favorita è impenetrabile. La spingono, la chiamano, le fanno domande. Lei è in imbarazzo però alla fine, dopo una serie di scatti, di pose e di sorrisi forzati, riesce a votare. Prima di andarsene, la Raggi tira fuori il telefonino e lo punta verso i cronisti: «Adesso la foto ve la faccio io. E stringetevi altrimenti non c'entrate, siete veramente troppi. Però questa ce la ricorderemo». Sente già profumo di vittoria? La bassa affluenza, dicono, la avvantaggia.

Al bar dell'angolo non sembrano troppo spaventati. «Sì - raccontano - abita qui vicino. No, non viene molto spesso, soprattutto da quando si è candidata. Boh, non lo so se è teleguidata da Grillo. Beh, vedremo se sarà un guaio o una soluzione». A Fantasie di pizza la buttano nella filosofia del disincanto. «Il fatto è che qui noi nei secoli abbiamo visto di tutto. I barbari, i lanzichenecchi, i piemontesi, i burini venuti da fuori, il Liverpool che ci ha battuto ai rigori. Mo' persino i Papi non sono più italiani, vuoi che ci spaventiamo dei grillini?».

E se dopo il marziano letterario di Ennio Flaiano e quello in carne e ossa di Ignazio Marino, verrà l'ora della marziana di M5S? «Chissenefrega, Roma resterà sempre Roma».

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