Cronaca locale

E così il murales entrò in galleria

Chi ancora oggi a Milano guarda ai murales con disappunto, può essere considerato uno scarso intenditore della realtà artistica internazionale: ormai quello della Street Art, o Hip Hop, è un linguaggio che ha conquistato, oltre che i muri, persino le gallerie d'arte e le case editrici. Aprirà domani, alla The Don Gallery in via Melzo 5 (www.thedongallery.com), la mostra Troubles never come alone, una collettiva che ospita le nuove opere, appositamente realizzate per l'occasione, di cinque artisti da tutto il mondo, tra i migliori esponenti di questa affascinante espressione culturale: saranno esposti i nuovi lavori dello statunitense Doze Green; l’italiano Bo130; Che Jen, artista coreana di nascita trasferita a New York a cinque anni con la famiglia; Yuri Shimojo, giapponese di Tokyo ma che ha vissuto tra le Hawaii, New York e il Giappone; infine Microbo, artista siciliana tra le maggiori esponenti italiane ed europee di Street Art. «M'interessa, con questa esposizione, far passare soprattutto l'idea che il graffitismo è un fenomeno artistico fin troppo discusso, ma che, alla fine, nessuno conosce davvero» sostiene il gallerista Matteo Donini. «Esiste infatti una grande confusione, e di conseguenza una facile strumentalizzazione di una forma espressiva che non è certo passeggera: così, quando fa comodo, i writers diventano protagonisti di pubblicità di bibite o abbigliamento, altrimenti sono condannati come imbratta-muri. In realtà si tratta di un'arte fine a se stessa - continua Donini - che va conosciuta anche perchè, ormai, ha un suo mercato attivo anche nelle gallerie».
L'idea del writer-vandalo è così superata. Chi pratica questo linguaggio artistico anzitutto non è sempre, necessariamente, un teenager: ha una consapevolezza di ciò che fa e, generalmente, conosce il fenomeno e la storia della Street Art. Oltre a ciò «è importante per gli artisti stessi che espongano in gallerie - aggiunge ancora Donini - perché per andare avanti devono vendere le loro opere». Oggi, chi poteva immaginarlo, l'arte di tre writers italiani (Ivan, Nais e Jacopo) sta per diventare parte di un progetto di aiuto umanitario organizzato dalla Fondazione Rava con il Nescafè Street Art Project: i tre artisti hanno dipinto muri e quaderni che hanno regalato ai bambini e ai loro maestri di Port au Prince ad Haiti, per donare un'esperienza di bellezza in una realtà difficile. Ora gli stessi disegni si troveranno sulla Red Mug, la tazza Rossa del Nescafè, realizzata in soli 7000 esemplari, da comprare, per beneficenza, sul sito www.nescafe.it (donazione minima 15 euro).
La Street Art è ormai un fenomeno di mercato? Non si deve generalizzare: l'emozione di realizzare un murales in piena notte, correndo rischio di essere scoperti e quello fisico di venire investiti o di cadere da posizioni pericolose, certo non è paragonabile ad una inaugurazione in galleria o una sponsorizzazione, ma è comunque un linguaggio da tempo sdoganato all'estero, e sempre più anche in Italia. «É significativo che proprio Milano fu, nell’ormai lontano 1982, la prima città in Italia in cui fu organizzata una mostra di writing» dichiara Flycat, all'anagrafe Luca Massironi, milanese del 1970 e uno dei personaggi di spicco del panorama Hip Hop/Spray Art, sia per la musica sia per il disegno, e che gestisce il negozio Wag, in via De Amicis 28, che fornisce tutti i writer, milanesi e no, di spray e vernici, oltre ad essere un punto di ritrovo ormai conclamato. «Mi spiace per i ragazzini che fanno solo le tag per mettersi in mostra.

Quella della Street Art - conclude - è un'arte, un preciso linguaggio che ha già una sua storia, anche milanese, che deve essere conosciuta».

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