Politica

E' l'antiscalfari che non sale mai in cattedra

Ama stare al livello delle persone con le quali si confronta. E sa non prendersi troppo sul serio

E' l'antiscalfari che non sale mai in cattedra

Se chi mi legge può crede­re che io possa scrivere una marchetta sul Gior­nale recensendo un li­bro scritto da un giornalista del Giornale sul direttore del Gior­nale non mi conosce, né cono­sce Vittorio Feltri, infatti sono stato io a chiedergli il favore di poterne scrivere. Perché sma­niavo dalla voglia di dare un consiglio ai lettori di destra e di sinistra: correte a comprare Il Vittorioso e recuperate L’uomo che non credeva in Dio di Euge­­nio Scalfari, e leggeteli entram­bi, uno dopo l’altro,il vittorioso e il filosofoso, capirete qualco­sa dei giornali, degli uomini e della vita stessa. Il secondo si intervista da so­lo, Feltri è sviscerato e radiogra­fat­o da un intervistatore profes­sionista come Stefano Loren­zetto e si racconta come si rac­conterebbe se fosse lì, seduto di fronte a voi, come viceversa non si racconterebbe mai Euge­nio Scalfari, il quale anche nel salotto di casa vostra, se mai ci mettesse piede, salirebbe in cat­tedra citando Cartesio e Kant e Hegel così, tanto per guardarvi dall’alto in basso. Feltri, se lo mettete su qualsiasi cattedra, si annoia subito, scende e viene tra voi, ama stare al vostro livel­lo, ama segare le gambe alle cat­tedre, è l’antiscalfari.

Nel libro ci sono un’infinità di aneddoti, a volte esilaranti, a volte malin­conici, sul mondo e sul demi monde del giornalismo italia­no, e non solo, perché Lorenzet­to non risparmia all’intervista­to le domande più scomode: da Affittopoli al «caso Boffo», dalla campagna contro Fini ai rapporti personali con Berlu­sconi fino alla propria denun­cia dei redditi, e dietro ogni die­t­rologia malignata dai detratto­ri ci sono spiegazioni sorpren­denti perché chiare, sponta­nee, andate a leggerle. Scoprirete inoltre che non c’è modo di adulare Feltri: lui rappresenta, in qualche modo, l’eleganza della semplicità, non la falsa modestia, piutto­sto la naturalezza esistenziale, profonda, disincantata, di non prendersi mai troppo sul serio, sia quando scherza (e ama scherzare), sia quando dice co­se serissime con somma non­chalance , perché alla fine «non puoi godertela la vita: solo ricor­dartela. Già tanto. Bisogna sa­pere che il resto è una macina­zione di passi. È tutto un non­senso. Dopodiché sei qui e pe­dali. Intervengono l’istinto di conservazione, i figli, gli affetti e stai al gioco. Ma è un gioco cre­tino. Tant’è che alla finesi con­clude con un’elegante morte, che non si sa bene se sia un sol­lievo o un dolore.

È questo il la­to più fastidioso: sarebbe me­glio staccare la spina e buona­notte ». Gli chiedete se è laurea­to e vi risponde sì, in Scienze po­­litiche, ma «mi è stata generosa­mente regalata». Gli chiedete come ha iniziato la sua inarre­stabile carriera e vi risponde co­me critico cinematografico, specificando quanto non ci ca­pisse nulla di cinema. Gli chie­dete come riuscì a far uscire un giornale con sole cinque perso­ne, quando arrivò a Bergamo Oggi e trovò la redazione vuota, migrata verso un altro giorna­le, e vi risponde che scese per strada e reclutò i giornalisti tra i clienti di un bar. Gli chiedete il segreto per moltiplicare le co­pie dei giornali, e vi risponde che non ha nessuna abilità par­­ticolare, si limita a scrivere con parole semplici, immedesi­mandosi nei lettori, e sembra facile. I quali lettori, talvolta, scri­v­endo al Giornale per protesta­re su un articolo, alla sera si so­no sentiti chiamare a casa da Feltri in persona, per chieder­gli spiegazioni e discuterne al telefono. Vi racconta, tra l’al­tro, come passò da simpatiz­zante di Mani Pulite ad avversa­rio di Di Pietro, in quale modo nacquero inchieste e scoop ri­masti nella storia del giornali­smo, quale fu il rapporto con In­dro Montanelli. È una vita da ir­regolare, da insofferente, da ri­voluzionario, in un ambiente professionale pieno di trombet­te e tromboni, dove tutti si di­chiarano liberi ma pochi lo so­no davvero. È l’autoritratto, in­capace di autocompiacimen­to, di un ribelle bello e buono e stronzo e pazzo al punto giu­sto, e non per altro è l’unico di­rettore sospeso, a cui è stato messo un bavaglio lungo tre mesi, in questi tempi in cui par­lare di censura è in Italia all’or­dine del giorno, a cominciare dall’Ordine dei giornalisti e da Eugenio Scalfari, al quale la so­spensione del ribelle non ba­sta, ne vorrebbe la radiazione, e dal suo punto di vista ha ragio­ne, forse anche da quello di Kant, di Hegel e di Cartesio, che essendo morti sono sem­pre d’accordo con Repubblica .

A me invece, leggendo Feltri contro Scalfari, è venuto in mente un pensiero di Leopardi molto vittorioso, perché alla fi­ne della lunga e avvincente in­tervista penserete quanto è «cu­rioso a vedere che quasi tutti gli uomini che valgono molto, hanno le maniere semplici; e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore».  

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