Cronaca locale

Ecco come le case delle Coop sono finite ai parenti dei manager

LA FARSA «Mio papà ci ha dato l’alloggio solo perché siamo una giovane coppia»

Come sono belle le case di via Magolfa, quelle che in base agli impegni presi dalla cooperativa rossa Cmb col Comune dovevano andare a gente che fatica a trovare un alloggio. E ancora più affascinanti delle case sono i trucchi grazie ai quali le case sul mercato degli affitti agevolati non ci sono mai finite. Dei ventidue alloggi previsti dalla convenzione - come raccontato ieri dal Giornale - solo tre sono ancora a disposizione di sfrattati, pensionati della minima, giovani coppie. Gli altri diciannove sono stati venduti come se niente fosse. Ecco come.
Nel 2008 la Cmb, in cambio della licenza edilizia, garantisce di riservare ventidue alloggi per le fasce disagiate della popolazione milanese. Invece li vende in blocco ad una società con cui è in stretti rapporti d’affari, la Emmemme srl: niente di illecito, spiegano i manager della coop rossa, la convenzione non proibisce di vendere, sarà la Eemmemme a dover rispettare i vincoli sociali. Peccato che invece la Emmemme venda nel giro di pochi mesi 19 dei 22 alloggi a privati cittadini. Che, in teoria, dovrebbero essere loro ad affittare le case ai bisognosi. Possibile? Uno compra una casa a quattromila o cinquemila euro al metro per fare un’opera di bene?
Incredibile, ma vero: almeno secondo quanto spiega al Giornale Massimo Camporeale, amministratore unico della Emmemme. «Non c'e assolutamente niente di irregolare. Gli appartamenti sono stati venduti a dei privati che hanno provveduto ad affittarli secondo gli obblighi previsti dalla convenzione col Comune». Sicuro? «Sicurissimo». Dei veri benefattori. «Tenga presente che, proprio essendoci questo vincolo, hanno pagato le case un po’ di meno. E tra quindici anni il vincolo scade e torneranno nel pieno possesso degli appartamenti. Insomma, hanno fatto un investimento a lungo termine».
Ma per scoprire il trucco, basta fare due passi fino in via Magolfa e confrontare i nomi sui citofoni con quelli degli acquirenti, quelli che avrebbero dovuto affittare le case ai poveretti. I nomi, in molti casi, coincidono. E non sono casi di omonimia. Scusi, lei è parente del signor C., quello che ha comprato questo alloggio? «Sono la figlia». E vive qui? «Esattamente». Ma non si può, queste case dovevano essere affittate a soggetti in difficoltà. «E infatti mio padre l’ha affittata a me che sono un soggetto in difficoltà». In che senso, scusi? «Che sono appena sposata. Io e mio marito siamo una giovane coppia senza casa, quindi apparteniamo a una delle categorie previste dalla convenzione col Comune».
Chiaro il trucco? D’altronde a inaugurare il sistema era stato proprio Massimo Camporeale, amministratore unico della Emmemme e socio della Cmb in una srl che si chiama Promea Infoservice e che si occupa di vendere le case. Tra i soggetti deboli destinati a ricevere la casa ad affitto calmierato figurava anche un signor Amodeo Camporeale, nel frattempo deceduto: e neanche in quel caso si trattava di una omonimia. Era un suo parente? «Effettivamente sì», risponde Camporeale. E perchè avevate deciso di affittargli una casa che doveva andare a soggetti in difficoltà? «Perchè era un pensionato a basso reddito e quindi rientrava nelle categorie previste dalla convenzione». Ma non le sembra strano che la casa finisca proprio a un parente dell’amministratore della società immobiliare? «Non dico che sia eticamente ineccepibile.

Ma non c’è niente che lo proibisca».

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