Economia e finanza

"74 miliardi di dollari in fumo": lo sgambetto cinese a Biden

L'allontanamento cinese dall’hardware e software straniero danneggerà in maniera consistente i conti delle aziende Usa. La perdita economica dei colossi statunitensi potrebbe essere consistente

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Prosegue la guerra tecnologica che antepone Stati Uniti e Cina. Da quando gli Usa e i loro alleati, ai tempi della presidenza di Donald Trump, hanno limitato le esportazioni di microchip, apparecchiature per la forgiatura di semiconduttori e altre tecnologie sensibili verso Pechino, il governo cinese ha reagito lanciando un massiccio processo di "indigenizzazione hi-tech" per bypassare il blocco statunitense. L’ultimo passo del Dragone è arrivato pochi giorni fa, ed è coinciso con lo smarcamento completo da software e hardware made in Usa, i quali non verranno più utilizzati nei computer e server governativi. Il Partito Comunista Cinese intende sostituire tutto con soluzioni interne, ovvero alternative autoctone.

Prosegue il braccio di ferro tra Usa e Cina

Secondo quanto riportato dal Financial Times, le nuove linee guida della Cina includerebbero un’eliminazione graduale dei microprocessori statunitensi di Intel e AMD, affiancata ad una drastica riduzione della presenza del sistema operativo Windows di Microsoft e, più in generale, dei software prodotti oltre la Muraglia. Al loro posto verrebbero presi in considerazione sostituti nazionali. In ogni caso l’allontanamento cinese dall’hardware straniero danneggerà in maniera consistente i conti delle aziende americane. Il sito Eurasiantimes ha quantificato la perdita economica di questi colossi tech in circa 74 miliardi di dollari.

Del resto, nel 2023 la Cina era il mercato più grande di Intel, fornendo il 27% dei suoi 54 miliardi di dollari di vendite, mentre il gigante asiatico rappresentava il 15% dei 23 miliardi di dollari di vendite di AMD. Il presidente di Microsoft, Brad Smith, ha invece dichiarato al Congresso degli Stati Uniti che il paese fornisce l'1,5% delle sue entrate.

Non c’è da stupirsi che le aziende americane di tecnologia e hardware per computer siano contrarie alla rivalità geopolitica tra Usa e Cina. Nel luglio dello scorso anno, ad esempio, la Semiconductor Industry Association (SIA) aveva fatto presente che ulteriori passi da parte dell’amministrazione Biden (leggi: inasprimento della Tech War) avrebbero potuto causare un nefasto effetto boomerang. "Consentire all'industria di avere accesso continuo al mercato cinese, il più grande mercato commerciale del mondo per i semiconduttori di base, è importante per evitare di compromettere l'impatto positivo del Chips and Science Act", spiegava la SIA in un comunicato.

La risposta di Pechino

Nell'ottobre 2023, il New York Times scriveva addirittura che le società americane di chip si erano "ribellate" al modus operandi dell’amministrazione Biden, affermando che il taglio delle vendite alla Cina avrebbe distrutto le loro attività e avrebbe fatto deragliare il piano dell'amministrazione di costruire nuove fabbriche di semiconduttori negli Stati Uniti.

A poco sono servite segnalazioni del genere, visto che la Casa Bianca ha continuato per la sua strada scatenando l’inevitabile reazione cinese. Pechino ha lanciato un massiccio processo di indigenizzazione per forgiare i propri semiconduttori, guidato dall’impresa statale Semiconductor Manufacturing International Corporation e da altre società tecnologiche private. Risultato: il governo cinese ha accelerato il processo di sviluppo dei chip e di altra tecnologia sensibile.

Le ultime misure della Cina, ha fatto sapere ancora il FT, sono arrivate dopo che Washington ha imposto sanzioni a un numero crescente di aziende cinesi per motivi di sicurezza nazionale, e bloccato le esportazioni di chip avanzati e strumenti correlati verso Pechino. Le autorità dell'ex Impero di Mezzo hanno quindi ordinato alle agenzie governative e agli organi di Partito al di sopra del livello comunale di utilizzare sistemi operativi "sicuri e affidabili". Nel dicembre 2023, il China Information Technology Security Evaluation Center aveva pubblicato un elenco guida per chiarire quali fossero le opzioni da prendere in considerazione.

Nella lista figuravano i chip di Huawei e del gruppo Phytium, entrambi sulla lista nera delle esportazioni di Washington.

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