Economia

Perché è fallito il redditometro

È entrato in vigore nel 2012 durante il governo Monti. Aveva come obiettivo scovare gli evasori, in particolare chi vive nel lusso con redditi da fame

Perché è fallito il redditometro

Non piaceva a nessuno. E per molti violava addirittura la Costituzione in quanto vessava la libertà dei singoli individui. Il redditometro esce di scena. Quello strumento nato per scovare chi vive nel lusso con redditi da fame, va in pensione. Lo dice la deliberazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello stato 2019 che, aggiornando i dati degli accertamenti sintetici emessi dall’Agenzia delle entrate negli ultimi cinque anni, dimostra la totale scomparsa del redditometro dal bagaglio degli strumenti antievasione a disposizione del fisco italiano. Insomma, possedere un’auto di lusso o un’imbarcazione e dichiarare redditi di poche migliaia di euro non è più un problema.

Secondo la Corte di conti, nel 2019, sono stati emessi soltanto 1.850 accertamenti sintetici del reddito delle persone fisiche. Si tratta del dato più basso dal 1991, anno nel quale fu varato il redditometro. Davvero poca cosa. Si pensi che nell’anno 2012, quello del blitz di fine anno a Cortina (decisione del governo presieduto da Mario Monti), il numero di accertamenti sintetici emessi dall’Agenzia delle entrate era stato superiore alle 37mila unità.

Perché il redditometro ha fallito, è presto detto. Il problema, non da poco, è che a questa scomparsa del redditometro corrisponde anche un buco nei conti pubblici dovuto alle previsioni di gettito che allo stesso erano state attribuite nel recente passato. Alla luce dei dati riportati, si legge infatti nella relazione annuale della magistratura contabile, si deve rilevare come l’accertamento sintetico non sia sufficientemente valorizzato nella complessiva strategia dei controlli fiscali, dopo che nel recente passato era stato utilizzato per arrischiate aspettative di gettito.

Nella relazione annuale, scrive Italia Oggi, si legge che ben 395 accertamenti effettuati nel 2019, cioè oltre il 21% del totale, ha comportato una maggiore imposta ricompresa tra 0 e 1.549 euro, fatto questo che appare in evidente contrasto con la natura stessa dell’accertamento che presuppone per la sua sostenibilità una rilevante divergenza tra il reddito dichiarato e quello sinteticamente accertabile. Si può dire che tutti i buoni propositi che accompagnavano il redditometro non sono stati mantenuti.

Che cos’è e come funziona

Il redditometro nasce da una decisione del governo Monti. Siamo nel 2012 e lo Stato dichiara guerra ai furbetti delle tasse. Si tratta di un meccanismo di accertamento sintetico con il quale l’Agenzia delle Entrate, sulla base delle informazioni a propria disposizione, analizza redditi dichiarati dal contribuente e spese sostenute. I controlli da redditometro si basano sulla determinazione induttiva del reddito complessivo dei contribuenti persone fisiche, valutato in base alla composizione del nucleo familiare e della zona geografica di provenienza.

Nel caso in cui il reddito presunto stabilito dalle Entrate dovesse discostarsi di più del 20% dal reddito effettivamente dichiarato dal contribuente, allora scattano i controlli e gli accertamenti fiscali. Il principio abbastanza banale che sta alla base del redditometro è che se un contribuente dichiara 100 non può certo spenderne 200. Attenzione però: nel caso in cui i controlli da redditometro dovessero mostrare uno scostamento tra redditi disponibili e spese sostenute, il contribuente non sarà considerato immediatamente un evasore, ma dovrà in ogni caso presentarsi presso gli uffici dell’Agenzia delle entrate per provare la propria innocenza. Il redditometro, infatti, pone a carico del cittadino l’onere della prova. Qualcosa di inaudito per i più critici. Questo onere, in qualsiasi civiltà giuridica, dovrebbe essere, infatti, posto in capo all’amministrazione pubblica.

Questo strumento mette in relazione al reddito del contribuente almeno 100 voci di spesa in grado di pesare la capacità contributiva del soggetto. Per determinare questa relazione il fisco ha messo a punto una metodologia statistico matematica che si applica in relazione a precisi gruppi di famiglie differenziati per aree geografiche.

In pratica, nel valutare le spese sostenute da un contribuente il software del fisco riuscirà a calibrare diversamente il peso di un acquisto fatto a Trapani rispetto a quello fatto a Milano, così le spese sostenute in un anno da un single rispetto a un nucleo di quattro persone.

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