Economia

Banche venete, fondi contro la Bce

Dopo la Nouy, i big del risparmio alzano la guardia su Pop Vicenza e Veneto Banca

Banche venete, fondi contro la Bce

Il salvataggio delle due ex popolari venete è tenuto sotto stretta osservazione dei fondi internazionali che hanno investito nei bond, soprattutto quelli senior nonché anche quelli emessi solo qualche mese fa e garantiti dallo Stato, di Pop Vicenza e Veneto Banca ma in vista della fusione a Nordest erano pronti a investire sul rilancio delle due banche e sulla nascita di un polo del credito ben radicato sul territorio ma finalmente libero dai «grovigli» del passato.

Le dichiarazioni rilasciate giovedì scorso dal numero uno della Vigilanza, Daniele Nouy su quei casi specifici per i quali «il consolidamento potrebbe anche prendere la forma della chiusura di banche se diventano insostenibili» hanno fatto scattare l'allarme rosso. La Nouy non ha fatto nomi ma il messaggio, nei desk operativi delle case d'investimento, è suonato come un de profundis per le due venete che hanno chiesto la ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato. A Londra qualcuno teme che il bail in possa scattare per il più piccolo dei due istituti, ovvero Veneto Banca. Si tratta solo di timori, al momento, anche perché l'offerta di transazione messa sul tavolo dei soci «azzerati» dai nuovi vertici di Vicenza e Montebelluna che punta a mettere al riparo le banche da risarcimenti miliardari è stata prorogata a martedì. Ieri, le adesioni all'offerta pubblica di transazione della Popolare di Vicenza hanno superato il 66% e altri soci hanno già preso appuntamento per la firma. Inoltre c'è un 6% di coloro che pur essendo interessati all'iniziativa restano indecisi. Considerando che in queste giornate l'orario di apertura delle filiali è posticipato alle 18,45 e che oggi ci sarà un'ulteriore apertura straordinaria, il management conta di poter raggiungere un risultato soddisfacente. Sempre martedì 28, inoltre, si avrà un quadro più preciso anche sui conti 2016 che saranno approvati dai rispettivi cda.

La tensione, però, resta alta. Anche tra i fondi. Parliamo di grandi firme come Blackrock o Kairos ma anche società di taglio più piccolo ma non per questo meno attive sul mercato obbligazionario. Alcuni sono gli stessi che avevano sostenuto il piano di salvataggio privato di Mps tentato a dicembre mobilitandosi per il raggiungimento del quorum nell'assemblea di novembre sulla ricapitalizzazione da 5 miliardi e offrendo il loro supporto concreto attraverso la conversione volontaria di obbligazioni subordinate in nuove azioni (2,4 miliardi sui 5 dell'aumento). Poi però quel piano è sfumato, c'è chi dice anche per colpa di un mercato spaventato dai rumors sull'intervento statale lasciati circolare incautamente prima che il cda di Rocca Salimbeni alzasse ufficialmente bandiera bianca. I titoli convertiti erano stati poi restituiti ai rispettivi portatori. Ma mentre con il decreto del governo gli obbligazionisti retail sono stati tutelati al 100%, agli investitori istituzionali è stato riconosciuto un valore pari al 75% del bond sottoscritto. Insomma, con il mancato «deal» senese i fondi hanno perso fior di quattrini. E non vogliono rischiare di perderne altri a Nordest nonostante fossero ben disposti con i due istituti. A febbraio la maggioranza delle obbligazioni con garanzia pubblica (1,25 miliardi collocati dalla Vicenza e 1,35 miliardi da Veneto Banca) era stata acquistata da investitori esteri. Ora, però la ricapitalizzazione precauzionale impone il cosiddetto burden sharing e quindi la conversione obbligatoria delle obbligazioni subordinate in azioni.

Un copione già visto a Siena.

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