Economia

Le big mondiali fanno cassa per paura della recessione

La liquidità complessiva in cassaforte dei grandi gruppi europei e medio orientali sale a 1.100 miliardi

Le big mondiali fanno cassa per paura della recessione

In tempi di incertezza torna di moda il vecchio motto cash is king: meglio accumulare cassa che investire, persino con tassi di interesse rasoterra. E infatti le imprese europee stanno mettendo da parte risorse in cassaforte per prepararsi ad ogni evenienza, complice il rallentamento in corso nel Vecchio Continente. Malgrado il nuovo piano di aiuti promesso dal presidente della Bce, Mario Draghi preoccupano sia la brusca frenata dell'economia tedesca, cosiddetta locomotiva d'Europa, con gli ordini manifatturieri crollati del 2,7% a luglio rispetto a giugno (e del 5,6% su base annua), sia l'escalation della guerra dei dazi avviata dal presidente Usa Donald Trump verso la Cina sia la Brexit incombente. Lo sostiene uno studio di Moody's, che evidenzia come i soli gruppi non finanziari dell'area europea, medio orientale e africana (Emea) valutati dall'agenzia abbiano aumentato, nell'ultimo esercizio, le disponibilità liquide del 15%.

Oggi il tesoretto su cui possono contare le imprese dell'area ammonta a 1.100 miliardi di euro dai 941 miliardi dell'esercizio precedente, grazie soprattutto ai big dell'energia come il colosso pubblico saudita Saudi Aramco con 43 miliardi in cassaforte. Tra i campioni di liquidità dell'area si annoverano poi Volkswagen con 37,5 miliardi in cassaforte (dai 27,3 miliardi dell'anno prima), Électricité de France con 34,2 miliardi (28,3 miliardi nell'esercizio precedente), Total (25,99 miliardi) e Royal Dutch Shell (23,39 miliardi). Tra le italiane a svettare è Eni con 17,38 miliardi di liquidità. In questo scenario non manca però chi, tra i fondi attivisti spinge in direzione opposta, chiedendo che la cassa venga spesa o restituita agli azionisti. Come Elliott Management che ha recentemente fatto pressioni sul campione del beverage francese Pernod Ricard per portarlo, tra l'altro, a approvare un piano di riacquisto di azioni proprie fino a un miliardo.

E le aziende europee non sono le sole a mettere munizioni in magazzino: in Giappone la liquidità custodita in cassaforte dai gruppi locali ammonta a 506,4 trilioni di yen, all'incirca 4.800 miliardi di dollari, un dato triplicato rispetto al 2013 e superiore al Pil di più di una nazione. Anche in questo caso non manca chi ritiene che più che un segno di forza, il poter disporre di un ricco tesoretto di liquidità in banca rappresenti un'opportunità persa per le aziende. In Nikko Asset Management la definiscono «una situazione alla Scrooge che deve essere risolta», richiamando il personaggio di Racconto di Natale di Charles Dickens. Nel frattempo, sono stati varati piani di riacquisto di azioni proprie per 60 miliardi di dollari dalle società quotate sul Nikkei. Ma non è abbastanza, anche perché sono contemporaneamente crollate le acquisizioni: da inizio anno si stimano accordi per 95 miliardi di dollari rispetto ai 215 dello scorso anno.

Al contrario, la cassa in mano ai gruppi non finanziari Nord Americani valutati da Moody's è scesa nell'ultimo anno del 15,2% a 1.700 miliardi di dollari dai 1.990 miliardi dell'esercizio precedente, mentre sono in aumento i piani di buyback (Société Générale stima, nell'ultimo anno, piani di riacquisto di azioni proprie sull'S&P500 per 800 miliardi di dollari), gli investimenti e le acquisizioni. Si tratta del primo calo registrato nell'arco di un decennio e è stato favorito dal taglio delle tasse voluto da Trump.

Campioni del cash dall'altra parte dell'Oceano sono i colossi tecnologici come Apple e Microsoft che possono rispettivamente contare su 245 e 127,9 miliardi di dollari.

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