Economia

Il conto è da un miliardo Il Palazzo decide chi paga

La liquidazione graverebbe su erario e contribuenti Il premier Gentiloni chiama Delrio, Calenda e Poletti

Gian Maria De Francesco

Roma Alitalia si avvia tristemente verso l'amministrazione straordinaria. Non a caso ieri nel tardo pomeriggio il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha chiamato a Palazzo Chigi per un vertice i ministri dello Sviluppo Calenda, del Lavoro Poletti e delle Infrastrutture Delrio. Ma, al di là dell'ovvio disappunto per un'intesa a rischio stop sulla quale l'esecutivo si era speso, non sono emerse finora indicazioni alternative anche se il governo è «aperto a tutte le soluzioni». Se prevarranno i no, la strada dell'ex compagnia di bandiera è segnata.

Ieri, infatti, ha risaltato l'assenza del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, che tuttavia non è titolare della materia e che, comunque, ha convincimenti molto «europeisti» e dunque poco propensi al salvataggio pubblico o semi-pubblico. Salvataggio che comunque sarebbe impossibile viste le ferree regole europee. E non è un caso che il ministero dello Sviluppo negli scorsi giorni avesse fatto filtrare che «non esiste un piano B». Giusto a titolo esemplificativo, non sarebbe nemmeno pensabile un ipotetico coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti che per statuto non può investire in aziende in perdita. Né, tanto meno, si potrebbe rispolverare il piano renziano dell'integrazione con Fs, ormai destinata alle nozze con Anas.

Per la componente più «collaborativa» del governo, il ministro Calenda in primis, si profila tuttavia una sconfitta perché proprio a Via Veneto si era cercato di mediare tra l'intransigenza del sindacato e le urgenze del management e delle banche finanziatrici (intesa e Unicredit in primis). Ora quello sforzo è pressoché vanificato con tutte le implicazioni che ne conseguono per coloro che su questa impervia concertazione avevano fatto affidamento.

Oggi dovrebbe il cda, per deliberare la richiesta di amministrazione straordinaria speciale, cioè il ricorso alla legge Marzano. Una volta compiuto questo passo, toccherà al ministero dello Sviluppo economico procedere con la nomina dei commissari (da uno fino a tre). Poiché la legge fallimentare prevede che l'amministratore straordinario si attivi per il ritorno in bonis dell'azienda, a fronte delle perdite quotidiane di Alitalia non vi sarebbe che una sola strada da percorrere: mettere a terra gli aerei e liquidare la compagnia. Se, infatti, non dovessero materializzarsi nuovi investitori (circostanza improbabile nelle attuali condizioni), non si potrebbe che procedere con la dichiarazione di insolvenza da parte del Tribunale.

Il curatore fallimentare inizierebbe, a sua volta, la procedura liquidatoria: 2 anni di cassa integrazione, Naspi e quindi disoccupazione per i lavoratori. Allo stesso tempo si la cessione «spezzatino» degli asset della compagnia per rimborsare almeno parzialmente coloro che si insinueranno al passivo. I costi della liquidazione di Alitalia sono stimati in circa un miliardo di euro. Più facile mietere consensi per chi aveva espresso riserve fin dall'inizio come il segretario della Cgil, Susanna Camusso, che sin dalla vigilia aveva detto di non essere ottimista.

E, soprattutto, più facile lucrare per chi ha sempre giocato allo sfascio come M5S. «Il governo ha perso un altro referendum», hanno commentato i deputati grillini della commissione Trasporti. «Il Governo, eviti di vendicarsi con i lavoratori ed entri nel capitale di Alitalia e si impegni a garantirne gli investimenti e le partnership necessarie al rilancio», ha dichiarato l'ex viceministro Stefano Fassina.

Nessuno si ferma, nemmeno davanti al disastro.

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