Economia

La crisi Alitalia, l'asso di Gubitosi e l'ultima chance per il salvataggio

La crisi Alitalia, l'asso di Gubitosi e l'ultima chance per il salvataggio

Nei prossimi giorni si deciderà il futuro di Alitalia. Quante volte abbiamo letto questa frase? Infinite. Troppe. Nell'opinione pubblica, i dipendenti del gruppo non ce ne vogliano, si è comprensibilmente sedimentato il pregiudizio che da quelle parti ci stiano prendendo in giro da qualche lustro. Insieme a giornalisti, tutti venduti, i politici, tutti corrotti, i banchieri, tutti furbacchioni, gli «alitalioti» sono considerati alla stregua di una piccola ma accanita casta. Per tutte queste sciagurate categorie un fondo di verità, ovviamente esiste. Ma conviene cucinare una zuppa, dosando bene gli ingredienti. Partiamo dalla situazione attuale. Il management, non più pubblico ma privatissimo, ha improvvisamente fatto sapere che non aveva più un euro in cassa, o meglio gliene restavano per poche settimane.

Azionisti italiani e banche hanno finalmente capito che i fenomeni ethiadini, forse non erano così fenomenali. E hanno preteso di mettere in azienda un manager che sapesse parlare il loro linguaggio (e magari accorgersi tempestivamente che la cassa si stava esaurendo, segno che il conto economico non girava): hanno scelto Luigi Gubitosi. Chi scrive lo conosce e lo apprezza molto. Insomma sono in un «conflitto di affetti» e lo dichiaro subito. Ma i fatti parlano: Gubitosi è arrivato in Rai, ha arginato la politica (altro che Conte Mascetti), bloccato le spese allegre, quotato con successo una sua controllata, ottenuto il rating, piazzato un bond, mantenuto i dirigenti esistenti, subito un taglio renziano di metá anno da 150 milioni e creato un tesoretto che il Conte Mascetti si è giocato con gli amici suoi. Vabbè.

Arrivato in corsa come presidente designato ha fatto sapere, come è suo stile, che non farà strappi con il passato. Ma basta leggere le sue prime dichiarazioni che capire la cesura che si verificherà.

1. In questo ennesimo caso Alitalia, le responsabilità maggiori sono del management e non dei dipendenti. Che pure pagheranno un prezzo per la ristrutturazione. Ma i dirigenti dovranno fare le valigie. La «discontinuità» come si dice in modo managerialmente corretto sarà formidabile. E sacrosanta, aggiungiamo noi. A parte la livrea degli aerei, e un sistema informatico nuovo che ha creato casini inenarrabili, non si capisce bene cosa abbia portato la competenza dei nuovi soci privati.

2. Alitalia può sopravvivere se rilancia. Nuove rotte e nuove macchine. Un gruppo rattrappito muore, la scommessa è osare, non difendersi soltanto. Non si può pensare ad una compagnia fatta solo di tagli. E soprattutto sempre nella stessa direzione.

3. Va bene non mettere più soldi dei contribuenti nella baracca. Ma qualcuno dovrà spiegare ai medesimi tartassati italiani per quale diavolo di motivo si adotta una politica di aiuti pubblici (cosa sacrosanta) verso la ex compagnia di bandiera mentre in gran parte degli scali italiani si usano i medesimi quattrini negati ad Alitalia, per far atterrare compagnie low cost. Insomma, mettiamoci d'accordo. Il solo scalo di Trapani chiede una decina di milioni dagli enti locali per agevolare il transito dei passeggeri Ryanair. Servono al turismo locale? Con questa logica però è difficile fare i tirchi con Alitalia. Insomma ci vorrebbe una strategia complessiva.

Il referendum che si sta tenendo tra i dipendenti in queste ore sul accettare o meno il piano di Alitalia, deve dunque tenere conto di questi fattori. Con due postille fondamentali.

1. Se dovessero vincere i «Si», arriverebbe nuova finanza (insomma crediti, cassa e risorse) per due miliardi, di cui 900 freschi freschi.

2. Questa volta c'è poco da tirare la corda, se il piano non dovesse passare, si andrebbe alla liquidazione. Modello Swissair.

Non è la fine del mondo, ma la fine per i dipendenti Alitalia sì.

Commenti