Economia

Dazi, l'Italia spera nell'aiutino Ma l'Europa chiude la porta

Bruxelles: «Presto per valutare i danni ai prodotti agroalimentari». E intanto sale l'allarme parmesan

Dazi, l'Italia spera nell'aiutino Ma l'Europa chiude la porta

Adesso bisogna vedere se davvero si fa sul serio. Oppure se l'arma daziaria da 7,5 miliardi di dollari messa nelle mani degli Usa dalla Wto è solo una pistola scarica puntata contro l'Europa. Non è infatti detto che prima del 18 ottobre, quando entreranno in vigore le tariffe punitive sulle merci Ue in transito negli States, non si sia raggiunto un accomodamento fra le parti. Donald Trump ama trattare tenendo il coltello puntato alla gola dell'avversario. La Cina ne sa qualcosa, ma finora non ha mollato. Non è detto che succeda lo stesso con Bruxelles.

Se l'Unione europea si presenterà come il solito corpaccione sfilacciato dove a prevalere sono gli interessi particolari dei singoli Paesi (e qui ce ne sono in ballo, solo nell'agroalimentare, per complessivi 22 miliardi) diventerà complicato limitare i danni.

I primi segnali non sembrano positivi. L'Italia, che ha visto finire nella tagliola delle misure punitive prodotti iconici (e fra i più taroccati) come il parmigiano e la mortadella ha già chiesto di incontrare lunedì prossimo la commissaria Ue al Commercio, Cecilia Malmstroem. L'obiettivo è chiarito da Paolo De Castro, coordinatore S&D alla commissione Agricoltura dell'Europarlamento: «Chiederemo di iniziare le valutazioni necessarie all'attivazione della riserva di 400 milioni nel bilancio della Pac per far fronte alle crisi di mercato per i nostri prodotti agroalimentari». Peccato che i tempi non sembrano coincidere: la Commissione Ue è ancora impegnata a compulsare quali merci finiranno sotto la scure a stelle e strisce. Quindi, «solo successivamente si vedrà se sarà necessario intervenire con misure comunitarie di sostegno ai produttori colpiti, in particolare nel settore dell'agricoltura», ha spiegato il portavoce per l'Agricoltura e il Commercio della Commissione, Daniel Rosario. Insomma, nessun supporto immediato.

Finora, l'Europa ha minacciato misure di ritorsione che potrebbero colpire prodotti Usa iconici come i jeans, le bevande gassate (come Coca-Cola), i chewing-gum e il ketchup per un controvalore di 20 miliardi, e si è limitata ad ammonire che la nuova ondata di protezionismo «nuocerà alle imprese americane e complicherà i negoziati». Difficile che Trump si lasci spaventare, ma combattere su due fronti commerciali può rivelarsi complicato per la Casa Bianca, già in campagna elettorale, e costretta a marcare stretta la Fed sui tassi. Continuare con il pugno di ferro potrebbe poi non essere una buona idea stante le difficoltà del manifatturiero Usa che potrebbero ripercuotersi su occupazione e consumi.

La posta in gioco pone tutti di fronte a rischi. L'Italia, oltre al danno provocato dalla tassazione aggiuntiva stimabile in mezzo miliardo di euro, teme un'altra insidia: la perdita di quote di mercato. Raffaele Borriello, direttore generale dell'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, va dritto al punto: «Questi dazi ci preoccupano perché possono innescare dei meccanismi di ingresso di nuovi competitor nei mercati internazionali e penalizzare le nostre eccellenze». I timori riguardano inoltre la proliferazione delle imitazioni. Un incremento dell'Italian sound, cioè la contraffazione delle nostre eccellenze, è messo in conto dal coordinatore di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia, cauto sull'impatto dei dazi. «Stabilire quanto rischiano - spiega - è complesso. I formaggi a pasta dura valgono 228 milioni di esportazione nel 2018 e su questi l'aumento dei dazi è del 25%.

Bisogna vedere quanta gente, pur di non pagare il 25% in più, si rivolgerà alla produzione locale di parmesan; però con un 25% di dazi ce la giochiamo comunque».

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