Economia

Dazi, Trump vince la guerra: 200 miliardi dalla Cina

Pechino acquisterà altre merci Usa e The Donald esulta: «Intesa storica». Ma molte tariffe restano

Dazi, Trump vince la guerra: 200 miliardi dalla Cina

«È un accordo epocale, una pietra miliare che cancella gli errori del passato». Più che una cerimonia per celebrare la raggiunta intesa commerciale fra Stati Uniti e Cina, quello andato in onda ieri alla Casa Bianca è stato un one man show. Teatrale e gesticolante, con un timing da attore consumato buono per attirare l'applauso dei 200 invitati, Donald Trump ha tenuto la scena per quasi un'ora, lasciando al quasi ingessato vicepremier cinese, Liu He, il ruolo del comprimario. Alla fine, The Donald aveva la faccia del vincitore.

E, in effetti, per come appare configurato il deal della Fase Uno, non ha tutti i torti. L'America incassa da Pechino l'impegno ad acquistare beni Usa per 200 miliardi di dollari nei prossimi due anni. C'è un po' di tutto, con numeri da capogiro economico per entità, un fiume in piena di denaro che si riversa sull'industria americana (32,9 miliardi di dollari nel 2020 e 44,8 miliardi l'anno successivo), sull'energia (18,5 miliardi quest'anno e circa 33,9 miliardi nel '21), sui servizi, banche comprese (12,8 miliardi entro fine dicembre e 25,1 miliardi), e sfiora i 33 miliardi per quanto riguarda l'agricoltura. Un ammontare che riporta il livello degli acquisti cinesi di soia, sorgo, carne di maiale e olii al 2017, cioè prima dello scoppio della trade war. Ossigeno puro per le aree rurali degli States falcidiate dai fallimenti (i salvataggi statali hanno toccato i 28 miliardi) che a novembre, quando si voterà per le presidenziali, non faranno mancare al tycoon la loro riconoscenza. Ma anche una molla per l'intera economia a stelle e strisce, la cui crescita, secondo il Beige Book della Fed, è stata «modesta» a fine 2019.

Oltre al piano di acquisti, l'intesa va a toccare alcuni punti sensibili finora ritenuti non negoziabili dal Dragone. Come per esempio l'accesso al mercato cinese delle società finanziarie. Dal prossimo aprile sarà rimosso il limite di capitale azionario straniero nei settori delle assicurazioni vita, pensione e malattia e verrà consentito alle compagnie assicurative americane di partecipare a tali settori. Inoltre, viene sottoscritto l'impegno a sradicare la vendita di merci contraffatte, oltre a imporre una tempistica stretta, massimo 30 giorni dall'entrata in vigore del patto, entro la quale presentare un «piano d'azione per rafforzare la protezione della proprietà intellettuale». Il documento contiene infine l'obbligo a evitare svalutazioni competitive, un punto per la verità superato dopo che l'altro ieri l'America aveva depennato i rivali dalla black list dei manipolatori di valute. Resta, invece, in piedi la barricata cinese sui sussidi statali.

La sostanza, però, non cambia: quella di Pechino ha l'aria di essere una resa su tutta la linea, salutata da Wall Street con un nuovo record del Dow Jones, per la prima volta sopra i 29mila punti. L'ex Impero Celeste porta infatti a casa solo briciole. Gli Stati Uniti hanno infatti deciso di dimezzare i dazi del 15% su 120 miliardi di importazioni cinesi, concesso un rinvio sine die su ulteriori aumenti delle tariffe, ma hanno mantenuto le misure punitive su 360 miliardi di beni made in China (e Pechino ha fatto lo stesso con oltre 100 miliardi di esportazioni statunitensi). «Se le togliessimo non avremmo altre carte da giocare - ha spiegato Trump - Le elimineremo solo se ci accordiamo sulla Fase Due». La Fase Tre, a suo dire, non ci sarà.

In ogni caso, restano le perplessità sul pieno rispetto di quanto concordato. La Casa Bianca ha già minacciato di alzare il tiro se Pechino non terrà fede agli impegni presi. «È proprio così. Il presidente ha la possibilità di aumentare le tariffe», ha affermato il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin. La telenovela commerciale potrebbe non essere ancora finita.

Ma se le cose andranno per il verso giusto, The Donald ha già in tasca il biglietto per restare altri quattro anni alla Casa Bianca.

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