Economia

Deutsche Bank taglierà 20mila posti

II big tedesco si ridisegna e rinuncia alle mire mondiali. Come cambierà il business

Deutsche Bank taglierà 20mila posti

Rivoluzione in vista per Deutsche Bank. Il consiglio di vigilanza dell'istituto tedesco, che si riunisce oggi, dovrebbe infatti approvare un piano di ristrutturazione imperniato sul taglio di 15-20mila posti di lavoro in 5 anni su una forza lavoro di 100mila persone, un fortissimo ridimensionamento del corporate & investment banking (con un sostanziale depotenziamento della presenza negli Stati Uniti e in Gran Bretagna) e la creazione di una bad bank in cui concentrare 50 miliardi di attivi a rischio.

Se il progetto dell'ad Christian Sewing si concretizzasse, si tratterebbe della più grande riduzione di personale nel settore bancario dai tempi del crac di Lehman Brothers, quando a perdere il posto, in una sola notte, furono 26mila persone. Ma, soprattutto, si tratterebbe di una ritirata strategica dalla prospettiva globale (Deutsche ambiva a diventare concorrente dei colossi Usa come Goldman Sachs e di JpMorgan) per ripiegare su una dimensione più europea se non tedesca. Una scelta obbligata dalle perdite cumulate da 6 miliardi di euro registrate tra il 2012 e il 2018, dagli scandali finanziari (ultimi in ordine di tempo Panama Papers e Den Danske Bank) e dalla scelta di Sewing di tornare alle radici.

I problemi di Deutsche non dovrebbero avere riflessi anche in Italia. Nel nostro Paese l'istituto di Francoforte ha una rete di 4mila dipendenti, 1.300 consulenti finanziari e 620 filiali. E comunque in passato Deutsche Bank Italia ha sempre gestito i tagli con esuberi volontari assieme ai sindacati.

Il maxi-riassetto di Db, però, pone ora una questione di strategica che in prospettiva promette di investire tutto il settore. Le banche italiane sono tradizionalmente più concentrate su un modello retail del quale la grande crisi ha imposto un ripensamento. I due big italiani, Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno però seguito strade diverse. Il gruppo guidato dall'ad Carlo Messina ha tenuto tutte le attività al proprio interno e oggi è una sorta di «boutique» che propone alla clientela un'ampia gamma di servizi tutti «fatti in casa»: dalle assicurazioni fino all'asset management, dalle gestioni patrimoniali fino ai servizi immobiliari. Piazza Gae Aulenti, invece, ha puntato sulle partnership cedendo i servizi in house e concentrandosi su una dimensione retail e corporate più internazionale, puntando su indicazione dell'ad Jean Pierre Mustier su nuove aggregazioni finora rimaste in stand by dopo le «tentazioni» Société Générale e Commerzbank.

I modelli di business saranno al centro della trattativa sindacale per il rinnovo contrattuale Abi recentemente avviata e che entrerà nella fase clou dopo le ferie estive. Sul tavolo, oltre a un aumento di 200 euro, anche la richiesta di rafforzare l'area contrattuale, ossia ancorare la figura del bancario alle sue prerogative e non a quelle più smart di venditore. Tra gli altri punti che saranno esaminati lo stop alle esternalizzazioni, cioè la cessione di rami d'azienda fuori del perimetro delle holding, e alle «pressioni commerciali», ossia le stringenti politiche di vendita per raggiungere gli obiettivi dei piani industriali. Su quest'ultimo punto Fabi, principale sindacato bancario, è pronta a scendere in piazza con le associazioni dei consumatori.

Non è un caso che il segretario Fabi, Lando Maria Sileoni, abbia salutato la partecipazione del capo dello Stato, Sergio Mattarella, all'assemblea del centenario Abi di venerdì a Milano come un segnale per «restituire la necessaria tutela al settore bancario».

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