Economia

Fca, debutto con perdita a Wall Street

Al Nyse chiude a 8,91 dollari. Primo giorno (ma positivo) anche a Milano: 7,02 euro. Elkann: «Un futuro da protagonisti»

Fca, debutto con perdita a Wall Street

Il gran giorno della nascita di Fiat Chrysler Automobiles e della contemporanea quotazione di Fca a Wall Street e in Piazza Affari, è coinciso con un atto storico: la rimozione dalla cancellata della palazzina del Lingotto, a Torino, dell'insegna Fiat Group e la contestuale messa a dimora del nuovo logo Fca. A New York, invece, la gamma di top car del gruppo, schierate davanti a Wall Street - con le Ferrari, Maserati, Alfa Romeo e Jeep in prima linea - ha salutato lo sbarco di Fca sul prestigioso listino Usa.

Da questa parte del mondo, dunque, dopo 115 anni, l'addio materiale a Fiat si è consumato in una manciata di minuti. Non così, invece, è stato per la corsa del Lingotto alla conquista della casa americana: iniziata nel gennaio 2009, è stata archiviata ufficialmente più di 5 anni dopo, una volta definito il capitolo recessi. A Torino non sono mancati i «nostalgici», come il consigliere comunale Silvio Viale (Pd) il quale ha chiesto un minuto di silenzio «in memoria del simbolo della Fiat che scompare dalla città».

La giornata di esordio di Fca sui due mercati ha visto le contrattazioni a Milano, che si sono aperte come previsto alle 15,45, durare solo un'ora e tre quarti. Tante è bastato, però, a registrare scambi per quasi 8 milioni con una chiusura positiva a 7,02 euro, più 1,22% rispetto ai 6,94 euro con cui le vecchie azioni Fiat avevano dato l'addio a Milano venerdì scorso. Gli analisti hanno subito notato come, nelle stesse ore, Piazza Affari avesse superato New York (1,4 milioni di titoli scambiati) con la conclusione, limitata a quell'arco di tempo di contrattazione parallela, che «con quei dati il mercato di riferimento del gruppo resta Milano». L'attesa dell'ad Sergio Marchionne è ovviamente diversa e il suo auspicio, palesato nei giorni scorsi, è infatti di vedere «il 60% dei volumi fatto negli Stati Uniti e il 40% in Italia». «Ovviamente - aggiunge un analista - bisogna considerare che il roadshow di Marchionne e del cfo di Fca, Richard Palmer, deve ancora cominciare; ma oggi, prima giornata di contrattazione piena di qua e di là dall'Atlantico, vediamo come si metteranno le cose». A Wall Street, intanto, dopo un avvio di seduta spumeggiante (azioni a 9,34 dollari), il titolo Fca ha via via ripiegato chiudendo a 8,91 dollari (-1%). Da parte sua, S&P ha deciso di ritoccare rating e outlook di Fiat Spa. Il giudizio di lungo (BB-) e breve (B) termine viene affidato alla società olandese, mentre l' outlook «stabile» riflette l'idea che il gruppo «dimostrerà valori di credito che consideriamo coerenti con i rating nel 2014 e 2015». S&P continua a considerare Chrysler come la parte «core» del gruppo e si aspetta che il relativo rating «si muova in tandem con quello di Fca».

John Elkann, presidente di Fca, orgoglioso di aver esaudito il sogno americano del nonno, Gianni Agnelli, parla di «momento storico, visto che si apre una fase completamente nuova che ci consentirà di affrontare da protagonisti il futuro del settore automobilistico mondiale». E l'ad Marchionne: «Un traguardo importante, conquistato con tenacia. Eppure, come tante pietre miliari, non rappresenta solo la fine di qualcosa, ma è soprattutto un nuovo inizio, quello di unico costruttore globale». E commentando il prossimo cda sui conti trimestrali, il top manager ha detto che i numeri non saranno così negativi come quelli degli altri due gruppi dell'industria Usa (Gm e Ford). E proprio l'ad di Fca ha più che raddoppiato la sua partecipazione nel gruppo: al 15 maggio deteneva infatti 3,1 milioni di azioni, diventate 6,5 milioni il 3 settembre. L'insieme della sua quota è pari allo 0,5% della società e ha un valore di circa 45 milioni (56,8 milioni di dollari).

La stampa Usa, intanto, vede la quotazione di Fca come «la sfida alle Detroit Two» (Gm e Ford) e Bloomberg , citando un analista di Morningstar , pone l'accento su come eventuali future alleanze dovranno confrontarsi con un debito industriale di 12,3 miliardi di dollari: una «pillola avvelenata».

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