Economia

Fed e Tokio non stringono la cinghia

La Yellen rinvia ancora il rialzo dei tassi, la BoJ «rianima» i rendimenti dei bond

Fed e Tokio non stringono la cinghia

Perse nel labirinto monetario che si sono costruite, le banche centrali non riescono a trovare il filo d'Arianna necessario per uscirne. Resta intrappolata la Federal Reserve, incapace anche ieri di dare una scossettina ai tassi, rimasti inchiodati tra lo 0,25 e lo 0,25%; annaspa la Bank of Japan per effetto di una politica monetaria sempre più lasca e sempre più da ultima spiaggia.

L'inazione della Fed veniva messa in conto alla vigilia, non essendo in maggioranza i falchi favorevoli all'immediato giro di vite: appena tre contro sette, come messo ieri nero su bianco dalle votazioni del Fomc. Silenziata l'ala dura, la presidente Janet Yellen ha così motivato l'ennesimo rinvio: «L'approccio cauto sui tassi è appropriato e la decisione di non alzarli non riflette una scarsa fiducia nell'economia. La Fed si aspetta solo strette graduali». Allora, cos'è che ancora non va? C'è bisogno di «maggiori evidenze che dimostrino che l'economia si sta rafforzando. L'economia ha ancora spazio di miglioramento», ma non ci sono «segnali di un surriscaldamento». E ci mancherebbe: la revisione al ribasso sia della stima di crescita, sia di quella sull'inflazione 2016 è la perfetta sintesi che, gira e rigira, non ci sono ancora le condizioni per agire. E forse non ce ne saranno neppure in dicembre, l'ultima finestra utile per la stretta, se alla Casa Bianca sarà arrivato Donald Trump, uomo che non nutre alcuna simpatia per la Yellen. A quel punto, tutto potrebbe cambiare.

Anche se il comunicato della Fed prevede che i tassi si attesteranno in un range tra lo 0,50 e lo 0,75% a fine del 2016, dando così per possibile un aumento di un quarto di punto, è da mesi che la banca centrale Usa va ripetendo che «le condizioni per un rialzo dei tassi si sono rafforzate», salvo poi non fare nulla. È una marcia di avvicinamento alla stretta senza un traguardo ancora visibile. La conferma arriva dalla stessa Yellen: «Un rialzo dei tassi quest'anno? Se l'economia tiene». Insomma, la vaghezza impera.

All'immobilismo americano si contrappone lo sbracciarsi della BoJ, che sembra però quello di chi sta per affogare. Il governatore Haruhiko Kuroda ha evitato di abbassare ancora i tassi, rimasti a -0,10%, con lo scopo di non impattare ulteriormente sui già risicati margini delle banche. In seconda battuta, il tetto annuo degli acquisti di titoli rimane fissato a 80mila miliardi di yen, ma diventa modulabile in base alle esigenze. E questa flessibilità dipenderà soprattutto da come la banca centrale del Sol Levante sarà in grado di centrare l'obiettivo primario: governare la curva dei rendimenti, attraverso lo shopping di titoli di Stato a lungo termine, così da riportare e mantenere i rendimenti del 10 anni attorno almeno allo zero percento e dare quindi respiro in particolare ai fondi pensione, messi sempre più in difficoltà dall'appiattimento degli interessi. «Potrebbe non essere facile, ma è possibile», ha detto Kuroda. L'andamento di ieri del decennale, risalito solo per un breve momento sopra lo zero (non accadeva da marzo) e poi tornato in negativo, sta lì a confermarlo. Insomma, una grande scommessa con cui Tokio rischia di giocarsi una bella fetta di futuro. Anche perché questa mossa qualche effetto collaterale (non proprio benefico) ce l'ha. Attualmente, la BoJ ha in pancia circa il 40% del debito pubblico giapponese, e con il ritmo di acquisti prestabilito potrebbe arrivare a detenerne l'intero ammontare entro sette anni. Con una conseguenza: risulterebbe impossibile uscire dalla trappola dei tassi a zero, se non iscrivendo forti perdite in bilancio, dal momento che ogni rialzo determinerebbe una discesa dei prezzi dei nippo-bond. Ma quei sette anni sono un orizzonte temporale di cui i mercati, tutti in rialzo ieri (+1,9% Tokio, +0,4% Wall Street a un'ora dalla chiusura, e bene l'Europa con Milano a +0,8%) non si curano. Carpe diem.

Finché dura.

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