Economia

Generali, scoppia il «caso Fonsai» Al via le grandi manovre tra soci

Spunta un'indagine interna sui rapporti tra Palladio e Perissinotto. L'attacco del Corriere e la quota di Bankitalia

La sede centrale di Trieste alle Generali
La sede centrale di Trieste alle Generali

Il 2012 della grande finanza si chiude nella bufera a causa dell'operazione con la quale questo stesso 2012 si era aperto: il salvataggio del gruppo Fondiaria Sai. Fortemente voluto da Mediobanca attraverso la fusione con Unipol, il riassetto di Fonsai - con l'uscita di scena del gruppo Ligresti - ha mandato in corto circuito il sistema finanziario. E come avviene da sempre nell'asfittico capitalismo nazionale, a finire in discussione è il controllo dell'unico centro finanziario di standing europeo: le Generali. In primavera scadrà il cda della compagnia e l'azionariato sta subendo qualche scossone. Per cui le manovre sono già iniziate. Così il Corriere della Sera di ieri, controllato da un gruppo di grandi soci tra cui Mediobanca, Generali e Intesa, ha dato il via alle operazioni di «guerra». Vediamo come e perché.
Con un articolo in prima pagina il quotidiano ha svelato l'esistenza di una relazione del comitato di controllo interno di Generali, richiesta dal nuovo l'ad Mario Greco e affidata all'avvocato Alessandro Pedersoli, mirata a valutare investimenti, asset e rapporti tra soci e compagnia. Ma che sembra diretta a ricostruire il ruolo svolto dalla compagnia nell'operazione Fonsai. In realtà la relazione non è su Fonsai, ma si rivela concentrata sui rapporti d'affari e societari tra il gruppo Palladio e il suo numero uno Roberto Meneguzzo con le Generali e il suo ex ad Giovanni Perissinotto, licenziato nel giugno scorso da una manovra di grandi soci guidata da Mediobanca e dall'ad Alberto Nagel. Nessun altro rapporto correlato, relativo ad altri soci, sembra essere stato esaminato dalla relazione.
Personaggi ed interpreti: Meneguzzo è colui che, insieme alla Sator di Matteo Arpe, aveva rilevato una quota di Fonsai (8%) per proporre un'operazione di salvataggio alternativa a quella di Mediobanca con Unipol. Mentre Perissinotto è stato sospettato di appoggiare Meneguzzo, socio di Generali per quasi il 4 per cento. E questo nonostante l'azionariato delle Generali faccia invece riferimento a Mediobanca, che ha il 13 per cento. In altri termini si sospettava l'esistenza di un conflitto interno alle Generali sull'operazione Fonsai.
Ebbene, la relazione di Pedersoli ricostruisce, andando indietro di sei anni, una fitta ragnatela di finanziamenti che Perissinotto, attraverso vari veicoli finanziari delle Generali, avrebbe erogato a imprenditori veneti (dagli Amenduni, alla Finint di Marchi e De Vido, a Veneto Banca) vicini a Meneguzzo (ma non soci in Palladio, bensì nella Ferak, titolare della quota in Generali). In tutto Generali avrebbe bruciato 250 milioni. Inoltre il rapporto svela anche l'esistenza di una serie di passaggi societari a monte di Palladio che, secondo il Corriere, farebbero ricondurre alle stesse Generali il «controllo di fatto del sistema Palladio». Di qui la conclusione che anche nell'operazione Fonsai, alternativa a Mediobanca, operava la compagnia triestina, nell'ombra. Il movente? Questo non c'è. Ma l'interpretazione del Corriere è che l'iniziativa su Fonsai sarebbe stata presa da Meneguzzo «già d'accordo in linea di massima con Salvatore Ligresti». L'imprenditore vicentino avrebbe già sentito i suoi avvocati per chiedere al Corriere alcune rettifiche e si riserverebbe di avviare un'azione legale. Dopodiché dalla relazione emerge di sicuro il sospetto che Perissinotto abbia finanziato alcuni dei suoi soci per essere più forte al vertice fin dal 2006, in barba a Mediobanca (un'accusa simile era stata rivolta ben 2 anni fa dall'allora presidente di Generali Cesare Geronzi. Ma questa è un'altra storia). Mentre è meno immediato un rapporto causa-effetto tra il ruolo di Generali e l'operazione Fonsai del 2012. Questo pare più basato su suggestioni che su fatti.
In ogni caso ne sapremo presto di più, visto che le procure di Milano e Torino stanno indagando sull'operazione sia relativamente al ruolo svolto da Nagel (il famoso «papello» per un accordo con i Ligresti, siglato dall'ad di Mediobanca e non reso pubblico), sia su quello svolto dalle Authority che hanno prima vigilato e poi rilasciato le autorizzazioni necessarie al riassetto Unipol-Fonsai. I pm hanno sentito tutti i protagonisti della vicenda e dovrebbero presto fornire qualche indicazione sulle indagini.
Quello che però appare un punto senza ritorno è la rottura dei rapporti tra Mediobanca e i soci veneti di Ferak e del veicolo Effeti, che valgono quasi il 4% di Generali. Se a questo si somma la quota di Bankitalia, pari al 4,5%, che entro la fine dell'anno potrebbe passare al Fondo strategico della Cdp e che in un secondo momento potrebbe finire sul mercato, si può calcolare che il gruppo di soci che fino a ora ha fatto quadrato intorno a Mediobanca va verso un oggettivo indebolimento. La stessa Mediobanca dovrà scendere dal 13 al 10% per un maggiore equilibrio del proprio patrimonio.

Ecco perché il rinnovo delle cariche, che verrà deciso nei prossimi tre mesi, sarà un bel banco di prova per i nuovi equilibri della compagnia.

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