Economia

Record di giovani senza lavoro: ad agosto hanno superato il 40%

Dall'inizio della crisi i disoccupati sono aumentati di oltre un milione di unità. I dati choc del Cnel: "Torneranno all'8% nel 2020 solo se il pil cresce del 2% l'anno"

Record di giovani senza lavoro: ad agosto hanno superato il 40%

Mentre una timida ripresa inizia a far apparire un segno "più" davanti ai principali indicatori economici, il mercato del lavoro continua a patire le conseguenze di cinque anni di profonda recessione. Come si legge nel Rapporto del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (Cnel), tra il 2008 e il 2012 i disoccupati ufficiali sono aumentati di oltre un milione di unità e "l’area della difficoltà occupazionale" ha registrato un aggravio di circa 2 milioni di persone. Un fenomeno concentrato nel Sud che ha "conseguenze sociali allarmanti" su tutto il Paese e che anche quest'anno non è affatto migliorato. Nel rapporto Occupati e disoccupati, l'Istat ha rilevato che ad agosto la disoccupazione è salita al 12,2% toccando il livello più alto dall’inizio sia delle serie mensili, gennaio 2004, sia delle trimestrali, primo trimestre 1977. Il dato più drammatico è sicuramente il tasso che riguarda i giovani tra i 15 e i 24anni e che ad agosto è balzato al 40,1%,

Nel corso dell'aggravarsi della crisi economica, la sovrapposizione di un forte rialzo dell’offerta di lavoro accompagnato da una contrazione del numero di occupati ha determinato un incremento significativo della disoccupazione che ha superato il 12%. "L’evoluzione del mercato del lavoro italiano suggerisce che parte dell’aumento del tasso di disoccupazione sia di carattere strutturale", si legge nel Rapporto che pone l'accento sul rischio che "molti di coloro che sono stati espulsi dal mercato, o non sono neanche riusciti ad entrarvi, restino a lungo fuori dal processo produttivo". "Il deterioramento del capitale umano legato alla persistenza ai margini del mercato determina una grave perdita per il lavoratore e per la società nel complesso", spiegano gli analisti del Cnel facendo notare come la partecipazione sia aumentata "in modo non omogeneo anche dal punto di vista territoriale, con una crescita più marcata nel Mezzogiorno". Nel Sud Italia si è infatti tradotta nella maggior parte dei casi in un passaggio dallo stato di inattività alla disoccupazione. Si è quindi ulteriormente ampliato il divario tra Nord e Sud del Paese. "Affiancando ai disoccupati anche gli inattivi disponibili a lavorare e coloro che ricercano non attivamente si ottiene una misura più ampia dei lavoratori che potrebbero essere inseriti nel circuito produttivo - sottolinea il Cnel - l'offerta di lavoro 'potenziale' così calcolata aumenta fra il 2008 e il 2012 di ben 900mila persone, invece delle 550mila della definizione standard delle forze di lavoro". Se nella definizione ufficiale l’aumento del numero dei disoccupati è di oltre un milione in quattro anni, l’area della difficoltà occupazionale in senso lato "registra un allargamento ben più consistente, giungendo ad aumentare di circa due milioni di persone. Si tratta di uno spreco di risorse ingente, oltre che di un fenomeno le cui conseguenze sociali sono allarmanti".

Secondo i calcoli degli analisti del Cnel, per riportare il tasso di disoccupazione all’8% bisogna aspettare almeno fino al 2020. Il tasso di crescita del pil, però dovrà superare il 2% all’anno. Si tratta di un target che ilo Cnel definisce "non eccezionale", ma che ammette essere, almeno per oggi, "non alla portata del nostro sistema". L’Italia negli anni di crisi economica ha, infatti, perso circa 750mila posti di lavoro. Se l’occupazione fosse diminuita quanto il prodotto interno lordo, le perdite sarebbero oggi pari a 1.870.000 occupati. Il Rapporto 2012-203 sottolinea che questo "è certamente l’anno peggiore della storia dell’economia italiana dal secondo dopoguerra", ma quello che può "intercettare il punto di svolta del ciclo economico". "La contrazione del prodotto cumulata dall’avvio della crisi ha raggiunto l’8% - scrive il Cnel - una caduta di tale entità non poteva non lasciare tracce profonde nel tessuto produttivo e sulle opportunità occupazionali. Negli ultimi anni abbiamo perso 750mila posti di lavoro: una caduta che avrebbe potuto essere più profonda se la produttività del lavoro non fosse rallentata, se le ore lavorate per occupato non si fossero ridotte, se il ricorso alla Cig non fosse aumentato per tutelare i redditi dei lavoratori e le potenzialità di ripartenza delle imprese".

Numeri alla mano appare chiaro che la caduta del pil italiano è stata seconda soltanto alla Grecia mentre la riduzione dell’occupazione è stata relativamente contenuta.

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