Economia

Lettera di un imprenditore al premier Enrico Letta

Un imprenditore racconta l'imposssibilità di fare impresa in Italia, la svendita ai colossi stranieri, la fuga degli investitori e uno Stato incapace di gestire la crisi

Lettera di un imprenditore al premier Enrico Letta

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un imprenditore che, dopo aver constatato l'impossibilità di fare imprenditoria nel nostro paese in quanto contornati da "una melassa asfissiante di regole burocratiche" e "da un rapporto con la P.A. di tipo squilibrato, leonino ed estorsivo", si è visto costretto a un accordo con un'azienda straniera. Nel giro di pochi anni è arrivata la chiusura. Da Parigi è arrivato l'ordine: concedete tutto ciò che viviene chiesto, purché la fuga dall'Italia possa essere veloce.

Egregio Presidente Letta,

probabilmente Lei non leggerà mai questa mia mail, ma Le sarò grato lo stesso perché comunque mi avrà dato la possibilità di mettere per iscritto la sintesi della mia esperienza lavorativa, alla soglia dei 70 anni, e di essermi liberato della stessa trasferendola alle nuove generazioni, nella speranza di aver gridato al mio paese la verità, finalmente!

Sono un ingegnere, classe 1945, ed ho trascorso quasi 40 anni in un’azienda metalmeccanica di medio-piccole dimensioni, circa 40 dipendenti.

Sono stato l’ad della stessa e lo sono ancora oggi.

L’azienda totalmente manifatturiera è locata a sud di Roma, in zona industriale di Pomezia.

Ancorché di piccole dimensioni ho avuto la possibilità in 40 anni di vivere ogni tipo di esperienza gestionale, strategico, sindacale e di rapporto con la P.a.

Nel 2005 incominciai a notare che l’azienda da un po’ di tempo non cresceva più, nonostante i continui sforzi di tutti gli occupati, con i quali ho sempre avuto un rapporto eccellente.

Continuavo ad analizzare tutti i fattori del mercato ed alla fine conclusi che l’azienda, nella migliore delle ipotesi, alla fine di ogni esercizio aveva lavorato solo per i dipendenti, i fornitori, l’Enel e soprattutto per lo Stato.

In questa situazione, ripeto nella migliore delle ipotesi, il bilancio contabile si sarebbe sempre concluso con un salomonico pareggio, senza possibilità né di investimenti né di utili.

Sottolineo che l’azienda è stata sempre rigorosamente rispettosa di tutte le ottemperanze fiscali, normative ed ambientali. Dopo lunghe e sofferte meditazioni conclusi che oggettivamente non era possibile continuare a fare imprenditoria nel nostro paese in modo corretto ed ossequioso delle regole fiscali con obiettivo e speranza di crescita e/o di guadagno, in piena concorrenza nazionale ed estera, in quanto eravamo contornati da una melassa asfissiante di regole burocratiche, sanguisughe travestite da fornitori di servizi sociali inesistenti, e da un rapporto con la P.A. di tipo squilibrato, leonino ed estorsivo. Decisi così di trovare un forte partner (ovvero acquirente) straniero, dalle spalle forti e dalla visibilità di mercato non più di tipo provinciale ma con visibilità mondiale.

Nel 2009 si concluse così un accordo con la più titolata azienda mondiale del nostro settore, con sedi in tutto il mondo e di proprietà franco-tedesca.

A tale multinazionale cedemmo l’intera attività aziendale, incluso operai, impiegati, impianti e macchinari. Ero soddisfatto perché con questa cessione avevamo assicurato un più roseo futuro a tutti i nostri dipendenti.

Orbene siamo nel 2013, sono trascorsi più di 4 anni dal cambio di timoniere e quindi dall’inizio dell’esperienza a guida straniera.

In questi 4 anni la nuova gestione franco-tedesca ha perso oltre 5 milioni di euro e dopo varie meditazioni e tentativi di ribaltare il trend ha deciso di cessare l’attività a fine anno, ponendo definitivamente termine all’esperienza italiana.

Fin qui nulla di particolarmente nuovo, di questi tempi.

Appresa la notizia mi sono recato subito in azienda immaginando di trovare presidi sindacali, proteste, bandiere e striscioni con occupazioni permanenti. Invece ho trovato un clima idilliaco. Serenità e pacate discussioni. Nulla di più. Ho chiesto notizie in ordine agli accordi sindacali ed ho scoperto che l’azienda straniera aveva concesso agli operai tutto quello che gli stessi chiedevano: liquidazione rapida, CIGS per un anno,mobilità per il secondo anno ed un bonus di uscita di 25.000 euro netti in busta paga ad ogni singolo dipendente!

Mi sono chiesto: come mai tanta generosità da parte dell’azienda?

La risposta l’ho trovata nel colloquio che ho avuto successivamente con i vertici aziendali. In pratica ho capito che da Parigi l’ordine era stato: concedete tutto ciò che viviene chiesto, purché la fuga dall'Italia possa essere veloce e senza contrattempi.

Ho letto negli occhi dei vertici aziendali il terrore e la frenesia della fuga, la paura di protrarre oltre questa maledetta ed incomprensibile esperienza italiana,fatta di Agenzia delle Entrate,di Consorzi, Comuni, Sindacati, normative regionali e provinciali ed una pletora di altre numerose sanguisughe inappagabili.

Qual è il motivo di questa mia mail?

Oggi da italiano deluso apprendo che il governo da Lei presieduto si sta adoperando per creare "Destinazione Italia", un altro organismo statale (?) con il compito di attrarre investitori esteri.

Ma mi chiedo da italiano ingenuo e di media intelligenza: non è più logico chiedere agli investitori stranieri già presenti, frementi e con le valigie in mano il perché della loro fuga e cercare di porre rimedio ove possibile? O forse lo sappiamo già e non possiamo farci alcunchè?

Ho il terrore al pensiero di quello che potrà dire sull’Italia il capo della multinazionale di Pomezia, nel momento in cui dovesse incontrare altri industriali stranieri che gli chiedono notizie sul nostro paese!

Caro presidente Letta, i posti di lavoro non si creano con le leggi, con gli osservatori,con le inutili aziende di stato perennemente in perdita (tranne le monopoliste) o con le task-forces. I posti di lavoro si creano solo facendo tornare agli uomini di buona volontà la voglia e la convenienza di fare sana imprenditoria, con condizioni al contorno che consentano tale ritorno.

Se la politica dimenticasse l’imprenditoria, già saremmo a metà strada! La prego non si faccia illusioni, fino a quando non si interverrà drasticamente eliminando ogni ostacolo o finta assistenza all’imprenditoria, non ci sarà ripresa interna e maggiore occupazione nel nostro paese.

Sono molto amareggiato per ciò che la mia generazione ha combinato!

Mi spiace lasciare a mia figlia un mondo decisamente peggiore di quello che mio padre mi lasciò.

Con sincera partecipazione la saluto cordialmente.

Commenti