Economia

L'euro può volare fino a 1,30 dollari se la Fed si spaventa e non alza i tassi

Nel 2019 l'economia Usa rischia la frenata. Le spine di Powell

Rodolfo Parietti

Con qualche estemporanea puntata verso il basso, poi subito corretta, è da almeno tre mesi che l'euro galleggia attorno agli 1,16 dollari. Una resistenza apparentemente inspiegabile, alla luce del divario tra i tassi d'interesse Usa (tra l'1,75 e il 2%) e quelli dell'eurozona (a zero). Uno spread, oltretutto, destinato ad allargarsi di un altro quarto di punto la prossima settimana, quando la Federal Reserve deciderà la terza stretta dell'anno. Donald Trump accusa l'eurozona, ormai da tempo, di mantenere artificialmente bassa la moneta unica. Una sorta di dumping valutario sgradito alla Casa Bianca, che punta apertamente su un dollaro debole allo scopo di favorire l'export e di contenere così gli squilibri della bilancia commerciale. La guerra dei dazi ha, non a caso, come primo obiettivo una ricalibratura dei flussi commerciali da e verso gli States.

Nonostante la sostanziale immobilità delle ultime settimane sul mercato dei cambi, non è da escludere che il tycoon venga accontentato nei prossimi mesi. SocGen, per esempio, prevede una risalita dell'euro fino a quota 1,30 dollari entro un anno. E anche altri analisti mettono in conto un rafforzamento della valuta europea. Stime di questo tipo sono basate sostanzialmente su un'ipotesi: nel 2019 la Fed non sarà più in grado di stringere le maglie valutarie con la forza di quest'anno, ma si limiterà a uno, massimo due giri di vite. Qualcuno azzarda perfino che l'istituto guidato da Jerome Powell non alzerà i tassi il prossimo dicembre, mossa data per scontata fino a non molto tempo fa. Che cosa potrebbe rendere Eccles Building così prudente da venire incontro ai desiderata di Trump, che vuole un greenback debole-debole per far decollare fuori dei confini il made in Usa e strappare nel 2020 un secondo mandato presidenziale? Semplice: un rallentamento dell'economia. Qualche segnale già c'è. La crescita nel secondo trimestre del 4,1%, drogata dagli anabolizzanti della riforma fiscale, non sembra del resto sostenibile nei prossimi trimestri.

C'è inoltre da considerare che la Bce, una volta archiviato in dicembre il Qe, comincerà ad aprire il dossier sul rialzo dei tassi. Ciò potrebbe dare una spinta all'euro.

Con quel che ne consegue in termini di inflazione, minor competitività delle nostre merci e, in definitiva, di rallentamento della crescita.

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