Economia

«Mps, con nuovi soci Paese a rischio»

Rinviare l'aumento del Monte dei Paschi è necessario perché la banca corre il «forte rischio» di avere «nuovi e imprevedibili assetti proprietari», con ripercussioni anche per «l'interesse del Paese». Con 26 miliardi di Btp l'istituto presieduto da Alessandro Profumo ha un «importantissimo ruolo» nel collocamento del debito pubblico. È quanto si legge nella relazione della Fondazione per l'assemblea del 27 dicembre con cui chiede il rinvio della ricapitalizzazione al secondo trimestre 2014.
Secondo l'ente presieduto da Antonella Mansi, spostare in data successiva al 12 maggio l'operazione non cambierebbe molto dal punto di vista del pagamento cash della cedola dei Monti-bond (che costano 30 milioni al mese al lordo dei benefici fiscali). Inoltre, un po' di ritardo consentirebbe anche di bypassare gli stress test della Bce sui quali la Fondazione si dichiara ottimista.
Istanze legittime, ma sulle quali è necessario interrogarsi. In primo luogo, la salvaguardia dell'«interesse del Paese», poteva essere inserita ben prima tra le priorità. Magari nel 2011, quando la Fondazione seguì per intero l'aumento di capitale spingendo l'indebitamento fino a 1 miliardo. Oggi di quel fardello restano 350 milioni, ma nel frattempo la partecipazione nel Monte (33,5%) si è svalutata a circa 640 milioni. Diluirsi prima avrebbe cambiato le cose. Nel corso dei sei anni che sono passati dall'acquisto di Antonveneta Palazzo Sansedoni ha bruciato un patrimonio di oltre 12 miliardi, ma ora si rende conto che per Mps ne va anche dell'Italia. E lascia anche pensare che coloro che ieri hanno appoggiato senza se e senza ma la decisione dell'ente siano stati proprio il sindaco di Siena, il renziano Bruno Valentini («Giusto che la fondazione dica no all'eutanasia»), e il presidente della Provincia, Simone Bezzini. Entrambi concordi su una tutela della «senesità».
La realtà è ben diversa. Il consorzio - capeggiato da Ubs e partecipato anche da Mediobanca - garantisce integralmente l'aumento (sebbene senza limiti al prezzo quindi con una diluizione fortissima) a inizio gennaio. Il rinvio costringerebbe a rinegoziare gli accordi. A giugno potrebbe essere troppo tardi perché gli stress test Bce potrebbero costringere anche altri istituti a rivolgersi al mercato. Occorre, infine, rispettare il diktat della Commissione Ue che ha autorizzato i Monti-bond ,condizionandoli a una sollecita restituzione del prestito. Ecco perché non c'è alternativa al piano dell'ad Fabrizio Viola. Anzi, un'altra possibilità c'è: la nazionalizzazione che vorrebbe dire controllo «politico» e che la Fondazione potrebbe accelerare facendo blocco in assemblea. Quello che a Siena qualcuno rimpiange.

Ecco perché a Rocca Salimbeni si inizia a pensare che solo un intervento del ministro dell'Economia (che ha siglato l'intesa con Bruxelles) o addirittura del premier Letta potrebbe sbloccare l'impasse.

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