Economia

Nel mirino Ue il modello Marchionne

Bruxelles contesta gli aiuti concessi dal Lussemburgo a Torino. Sotto esame la politica Fiat di cercare sconti fiscali all'estero

Il commissario alla Concorrenza, Joaquin Almunia
Il commissario alla Concorrenza, Joaquin Almunia

Tegola su Sergio Marchionne alla vigilia della quotazione, il 13 ottobre prossimo, di Fiat Chrysler Automobiles a Wall Street. E, secondo i primi mormorii a Bruxelles, un possibile imbarazzo per il neo presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, per 18 anni premier del Lussemburgo e artefice, come tale, di una politica sicuramente interessante per le multinazionali a caccia di opportunità, anche fiscali. In mezzo, l'annoso problema rimasto senza soluzione: la mancanza di un'armonizzazione fiscale nell'Ue e le tante contraddizioni che, alla fine, penalizzano le aziende investitrici, costrette poi a delocalizzare nei Paesi terzi.

Secondo la Commissione Ue il trattamento fiscale riservato dal Lussemburgo a Fiat Finance and Trade, società fondata nel 1997 con sede a Lussemburgo in Boulevard Royal, costituisce aiuto di Stato. Fft, controllata al 40% da Fiat Spa e al 60% da Fiat Finance Spa, fornisce servizi di tesoreria e di finanziamento alle imprese del gruppo in Europa, Italia esclusa. E controlla, inoltre, il 100% di Ffna (che svolge gli stessi servizi negli Stati Uniti) e di Ffc (Canada).

Per quanto riguarda Fiat, Bruxelles ritiene che il trattamento fiscale a Fft «non rispetti il principio di concorrenza piena», in quanto si traduce in un vantaggio per il Lingotto che si ripete ogni anno e che è selettivo. Il Lussemburgo ha un mese di tempo per fornire ulteriori informazioni, già richieste da Bruxelles nei mesi scorsi ma senza successo. Se non sarà il Lussemburgo a fornire le informazioni richieste, la Commissione potrà rivolgersi direttamente a Fft. L'indagine avviata dall'ufficio del commissario alla Concorrenza, Joaquin Almunia, era stata annunciata in giugno, mentre ieri Bruxelles ha pubblicato le lettere inviate ai Paesi interessati. Chiusa la fase preliminare, Bruxelles procederà con l'iter previsto: il piccolo Stato, a quel punto, potrebbe essere chiamato a recuperare gli aiuti concessi dal beneficiario, più gli interessi.

Il mercato, ieri, ha reagito male e il titolo Fiat, che nei giorni scorsi si era riaffacciato oltre gli 8 euro, in vista della quotazione Usa, incassando anche pareri favorevoli dalle banche d'affari, ha chiuso in forte ribasso: -3,41% a 7,64 euro. A incidere pesantemente, però, più che i timori su un esito negativo del caso lussemburghese, per gli analisti è stato il profit warning lanciato da Ford (Europa e Russia le preoccupazioni maggiori), insieme al rallentamento delle vendite di auto in Brasile e al rischio richiami che incombe, negli Usa, su modelli Chrysler prodotti tra il 2007 e il 2014.

Fiat, dunque, continua a essere nel mirino dell'Ue. E, paradossalmente, a capo della Commissione c'è quello Juncker che aveva fatto ponti d'oro al Lingotto quando ha insediato a Lussemburgo, una sorta di Grande Montecarlo, la sua Fft grazie alle migliori condizioni per ottenere i finanziamenti (se le agevolazioni sono maggiori in altri Paesi, perché non sfruttarle, il ragionamento fatto da Marchionne quando ho deciso di spostare le sedi fiscale e legale di Fca, nel Regno Unito in Olanda, o la produzione della 500L in Serbia).

Ma di casi paradossali se ne possono fare tanti altri ancora: l'iniezione miliardaria della Francia a Psa e Renault allo scopo di dare ossigeno ai rispettivi bracci finanziari, il recente ingresso dell'Eliseo nel capitale di Psa. O, ancora, il mega prestito al tasso dell'1% concesso dalla Banca centrale europea alla Volkswagen Bank.

Insomma, è sempre più l'Europa del doppiopesismo.

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