Economia

Pensioni, ora la Consulta boccia la norma Fornero

Bocciato il blocco della rivalutazione per gli assegni dal 1.500 euro in su. L'ex ministro: "Non fu una mia scelta"

Il ministro del Lavoro Elsa Fornero in Senato durante il voto di fiducia
Il ministro del Lavoro Elsa Fornero in Senato durante il voto di fiducia

La Corte Costituzionale boccia il blocco della perequazione delle pensioni. Finisce così nel cestino la cosiddetta norma Fornero contenuta nel "Salva Italia" che stabiliva per il 2012 e 2013, "in considerazione della contingente situazione finanziaria", che sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps scattasse il blocco della perequazione, ossia il meccanismo che adegua le pensione al costo della vita, è incostituzionale. "Vengo rimproverata per molte cose - commenta la Fornero - ma quella non fu una scelta mia, fu la cosa che mi costò di più".

"L’interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti - si legge nella sentenza 70 depositata oggi di cui è relatore il giudice Silvana Sciarra - è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio". A sollevare la questione di legittimità costituzionale erano stati, con varie ordinanze tra il 2013 e il 2014, la sezione lavoro del tribunale di Palermo e le sezioni giurisdizionali per la Regione Emilia-Romagna e per la Regione Liguria della Corte dei Conti. Secondo la Consulta, le motivazioni indicate alla base del decreto sono blande e generiche, mentre l’esito che si produce per i pensionati è pesante. "Deve rammentarsi che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva - scrive la Consulta - le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato".

"Se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico - dice ancora la sentenza - la sentenza induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività". Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita e l’adeguatezza. "Quest’ultimo - conclude la Corte Costituzionale - è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà e al contempo attuazione del principio di eguaglianza". L’impatto sui conti pubblici, stimato dall’Avvocatura dello Stato quando si tenne l’udienza pubblica, sarebbe di circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013. Ora toccherà al governo ridare i soldi a 6 milioni di italiani. Palazzo Chigi però minimizza: "Stiamo verificando l'impatto che la sentenza della Consulta può avere sui conti pubblici, non sarà una prova facile, ma non siamo molto preoccupati. Siamo al governo proprio per risolvere le questioni complesse, per dare risposte certe e chiare, per trasformare le eventuali criticità in opportunità. Dunque calma e gesso.

Studieremo la sentenza, troveremo la soluzione".

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