Economia

Poco lavoro e tanti debiti. Ma è la pace sui dazi a spingere la Borsa Usa

Dati su occupazione peggiori del previsto In settimana attesa l'intesa con la Cina

Poco lavoro e tanti debiti. Ma è la pace sui dazi a spingere la Borsa Usa

Rodolfo Parietti

L'economia reale dev'essere figlia di un dio minore per Donald Trump. Ai chiaroscuri che arrivano dal mondo del lavoro, con gli appena 145mila posti creati in dicembre (160mila in base alle attese), l'inquilino della Casa Bianca preferisce le mille luci di Wall Street. Anche quando c'è di mezzo una complicata partita come quella con l'Iran, la Borsa è una garanzia: non fa una piega. Anzi, continua a flirtare con i record. Una resilienza al ribasso che il tycoon attribuisce tutta a se stesso, a quanto fatto da quando occupa la poltrona presidenziale, soprattutto con l'allargamento delle maglie delle regole finanziarie e con i tagli delle aliquote fiscali.

Poco importa se c'è qualche effetto collaterale da pagare, tipo i 1.300 miliardi di dollari di debito accumulati negli ultimi 12 mesi. Roba noiosa. Molto meglio volgere lo sguardo altrove, lì dove c'è profumo di denaro. Ecco quindi The Donald, tra un cinguettio minaccioso e militaresco e altri al veleno rivolti ai democratici, esibirsi in un tweet intinto nello zucchero da dedicare al suo mercato: «11.000 punti guadagnati dal Dow Jones nei 3 anni dall'elezione del presidente Trump. Oggi (ieri, ndr) l'indice potrebbe raggiungere i 29mila punti. Non è mai successo prima in un simile lasso di tempo. Ciò ha aggiunto 12,8 miliardi di dollari al valore del business americano. Il meglio deve ancora venire!». A un'ora dalla chiusura, l'indice non era ancora riuscito a volare sopra la quota indicata da The Donald (-0,20%, a 28.900), ma potrebbe essere solo questione di giorni. In particolare se la prossima settimana verrà finalmente messa la firma a suggello dell'accordo commerciale, la cosiddetta Fase 1, fra Stati Uniti e Cina. La Reuters indica mercoledì prossimo come data probabile dell'intesa, visto che la delegazione cinese capeggiata dal vicepresidente, Liu He, sarà a Washington già all'inizio della settimana. Per Trump si tratta solo di un passaggio formale prima di passare alle discussioni che riguardano il secondo step dell'accordo.

Restano però ancora parecchi punti da chiarire. Su tutti, l'ammontare degli acquisti di prodotti agricoli americani da parte del Dragone. La Casa Bianca pretende un impegno a comprare beni per un totale di circa 45 miliardi, ma finora Pechino ha fatto spallucce. Anche perché il deficit di carne di maiale e soia è stato colmato grazie ai contratti sottoscritti con Argentina e Brasile.

Basta insomma poco per far finire nuova sabbia negli ingranaggi e riportare tensione nei rapporti fra le due superpotenze. Un motivo in più, alla Federal Reserve, per tenere ferma la barra della politica monetaria. Nonostante lo scorso anno siano stati creati 2,1 milioni di posti di lavoro rispetto ai 2,7 milioni del 2018, l'istituto guidato da Jerome Powell resta convinto che l'economia sia solida e non abbia bisogno di ulteriori riduzioni dei tassi. Trump dovrà farsene una ragione nell'anno della corsa per le presidenziali.

Più fluida appare invece la situazione alla Bce. L'eurozona fatica a uscire dall'impasse, e gli strumenti finora adottati da Francoforte non sembrano garantire una crescita robusta. Christine Lagarde deve far fronte a un board sostanzialmente spaccato fra falchi e colombe. Una soluzione per mettere d'accordo tutti, e dare un boost all'economia, potrebbe essere quella individuata da alcuni economisti. Che suggeriscono di agire su un doppio binario. Alzare i tassi sui depositi, in modo da dar respiro non solo alle banche ma anche ai risparmiatori; e abbassare quelli sui Tltro, da -0,5% a -1, -2%, allungandone la scadenza da tre a dieci anni.

A una condizione: le banche che vorranno ottenere i prestiti dovranno impegnarsi a utilizzare i fondi per finanziare investimenti energetici sostenibili.

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