Economia

Previdenza, ecco la stangata: addio al sistema retributivo

L'idea del governo è istituire per tutti il metodo contributivo cancellando i diritti acquisiti. Ma così crollerebbe l'importo degli assegni, specie dei più bassi. Già pronti ricorsi a pioggia

Previdenza, ecco la stangata: addio al sistema retributivo

«Nessun nuovo sacrificio», ha assicurato ieri il sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti. Non adesso forse, ma nel giro di qualche mese i pensionati potrebbero finire di nuovo sotto i riflettori. In settembre, con la legge di Stabilità, il governo ha promesso una riforma previdenziale che dovrebbe alleggerire i requisiti della legge Fornero. Quindi età del ritiro un po' più flessibile. Ma la novità che potrebbe spuntare non assomiglia per nulla a un ammorbidimento. L'ipotesi che sta già facendo discutere addetti al settore e membri del governo, è quella di un'estensione a tutti, compreso chi già percepisce una pensione, del sistema contributivo.

Un ricalcolo dell'assegno per chi percepisce una rendita calcolata con il sistema retributivo - chi cioè aveva 18 di contributi nel '95 - o misto - chi è stato assunto prima del '95 - senza il pro rata previsto dalla riforma Fornero. Cioè senza vedere salvi i diritti acquisiti fino all'anno 2012. «Speriamo di no, sarebbe un disastro per le pensioni basse», spiega un esponente di maggioranza, confermando la voce. L'ipotesi comprenderebbe comunque l'esclusione delle rendite più basse, riservando il contributivo a quelle più alte. È un'idea già circolata. Simile, ad esempio, a quella lanciata dal presidente dell'Inps Tito Boeri, che vorrebbe un sacrificio da parte dei pensionati più ricchi per rendere più equo il sistema. Ad altissimo rischio di nuovi ricorsi e altre sconfitte di fronte alla Corte costituzionale. Ma anche una riforma strutturale che ci viene richiesta, non troppo esplicitamente, da istituzioni internazionali. Ad esempio dal Fondo monetario internazionale. Nei giorni scorsi Il Sole24ore ha anticipato il lavoro della missione degli ispettori del Fmi, che sono a Roma. Faro sulla spesa previdenziale e, in particolare, sulla necessita di ridurre la spesa pensionistica a partire dai trattamenti in essere.

A riportare in auge e fare diventare concreta quella che era solo un'ipotesi di scuola è stata paradossalmente la sentenza della Consulta sulla rivalutazione delle pensioni e l'esigenza di equità tra generazioni che ha fatto emergere. Il governo affronterà la sentenza al Consiglio dei ministri di lunedì. Ma le soluzioni non potranno che essere parziali.

A tre giorni dalla decisione l'unica cosa certa è che il rimborso pieno riguarderà solo pochi, se non nessuno. E che il recupero dell'inflazione bloccato negli anni 2012 e 2013 e relative perdite nell'anno successivo, si assottiglierà per i redditi più alti fino a scomparire. Sembra tramontare l'idea di allungare i limiti alla rivalutazione del governo Letta, successivi a quelli dell'esecutivo Monti, bocciati dalla Consulta, fino al 2018. Soluzioni dettate da ragioni di bilancio. La Commissione europea sta ancora aspettando una valutazione degli effetti della sentenza sui conti pubblici e per questo attende le decisioni del governo, contando nell'impegno del ministro Pier Carlo Padoan al rispetto delle previsioni sul deficit.

Secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio, la piena restituzione degli arretrati previdenziali per un pensionato tipo con assegno pari a 3,5 volte il minimo (1.639 euro al mese nel 2011) ammonterebbe a circa 3.000 euro. E a partire dal 2015 la pensione risulterebbe maggiorata di circa 1.230 euro all'anno. Calcoli fatti sull'ipotesi di una restituzione piena che, sempre per l'Upb, considerato la longa manus della Commissione europea, farebbe saltare i conti pubblici. Mezzo punto di Pil, tetto del 3% del deficit superato. E clausole di salvaguardia destinate a scattare.

Quindi aumento dell'Iva e delle accise, pur di restituire il dovuto ai pensionati e non sforare sul deficit.

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