Economia

Recessione evitata. Ma ora la Germania ha bisogno di stimoli

Dazi e Brexit le minacce, ma Berlino non vuole tagliare le tasse e usare il suo surplus

Recessione evitata. Ma ora la Germania ha bisogno di stimoli

Basterà una crescita miserrima dello 0,1% appiccicata al Pil del quarto trimestre, per evitare alla Germania l'onta di essere il primo Paese di Eurolandia che scivola in recessione. Il dato sarà reso ufficiale solo in febbraio, ma già ieri l'istituto di statistica tedesco ha messo le mani avanti: dopo il calo tra agosto e ottobre (-0,2%), l'ultimo quarter ha fatto registrare un impercettibile sussulto, sufficiente però a evitare quella doppia contrazione consecutiva che avrebbe appunto collocato il Paese in recessione tecnica.

La sostanza, tuttavia, non cambia. Berlino ha un problema di crescita asfittica, neanche fosse un'Italietta qualsiasi. Al punto da aver archiviato il 2018 con un'espansione dell'1,5%, in forte decelerazione rispetto al +2,2% che aveva scandito il 2016 e il 2017. Senza la dote accumulata nel primo semestre, il risultato finale sarebbe stato ben peggiore.

Il punto su cui ragionare è se, come sostiene Berlino, l'indebolimento avvertito nella seconda parte dello scorso anno sia riconducibile solo a fattori temporanei, e dunque facilmente riassorbibili nel 2019, quali la flessione delle vendite di auto a causa dei più severi standard di inquinamento, agli scioperi e un'influenza particolarmente virulenta. Oppure, se un'economia tedesca così dipendente dalle esportazioni (+3,5% nel 2018) abbia cominciato a segnare il passo in seguito al rallentamento dell'economia globale, un fenomeno che rischia di esacerbarsi quest'anno. Soprattutto se Usa e Cina non troveranno un accordo capace di mettere fine alla guerra dei dazi, che già male sta facendo ai bilanci delle major automobilistiche tedesche. E peggio ancora andrebbe se, come va minacciando Donald Trump, Washington imponesse tariffe punitive sul settore europeo dell'automotive. Un ulteriore deterioramento della congiuntura cinese, i cui effetti sono sempre più visibili e sono stati confermati proprio nei giorni scorsi dal calo del 2% subìto dalle vendite di automobili, avrebbe poi un impatto sui livelli di esportazioni. La Germania ha infatti collocato sul mercato cinese nel 2017 (ultimo dato disponibile) merci per un controvalore di 86 miliardi di euro, più o meno la stessa cifra dell'export verso la Gran Bretagna. Facile quindi immaginare quale potrebbe essere il contraccolpo per l'economia tedesca anche da una Brexit senza accordo.

Berlino dovrebbe insomma prendere qualche contromisura, magari sfruttando i 59,2 miliardi, l'1,7% del Pil, del surplus di bilancio 2018. Un record. Margini per politiche più espansive ci sarebbero, soprattutto in un Paese accusato di scarsi investimenti pubblici e in infrastrutture, e di aver per anni perseguito una politica di deflazione salariale. Ma la proposta di qualche esponente politico di alleggerire il carico fiscale sulle imprese proprio per stimolare la crescita, è stata subito rispedita al mittente dal ministro delle Finanze, Olaf Sholz.

Un nein motivato dal fatto che «gli anni delle vacche grasse (delle entrate fiscali) sono finite».

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