Economia

Ultime incertezze sul patto Usa-Cina

Oggi la firma dell'accordo sui dazi. Ma la Casa Bianca potrebbe renderlo top secret

Ultime incertezze sul patto Usa-Cina

A un passo dalla firma, prevista oggi a Washington, l'intesa commerciale fra Stati Uniti e Cina appare ancora molto simile al gioco truffaldino delle tre carte. L'asso di cuori, il suggello ufficiale alla cosiddetta Fase Uno, è ben visibile ed è un richiamo irresistibile a puntare sull'avvenuta pacificazione fra le due super-potenze. In realtà, meglio sarebbe non scommettere un solo cent. Troppi i punti ancora oscuri, più o meno abilmente mascherati.

La Reuters ha interpellato ieri alcune fonti, definite vicine alla trattativa, che hanno dipinto un quadro bucolico della situazione. Una sorta di Mulino Bianco in versione sino-americana, con Pechino pronta a far concessioni su tutta la linea. I numeri raccontati appaiono infatti un tantino fuori squadra. Il Dragone si assumerebbe l'onere di acquistare 80 miliardi di dollari di beni Usa nell'arco dei prossimi due anni. Un'offerta impossibile da rifiutare. Anche perché nel carrello dello shopping i cinesi avrebbe messo prodotti agricoli per un controvalore pari a 32 miliardi, da sommare ai circa 24 miliardi che facevano parte di un accordo datato 2017, cioè prima dello scoppio della trade war.

In pratica, la richiesta di Donald Trump di comprare soia, carne di maiale, sorgo e latticini per 40 miliardi l'anno sarebbe stata esaudita. Ma più di una perplessità rimane. Finora, la Cina ha sempre risposto picche ai desiderata trumpiani, tirando in ballo le regole della Wto e colmando il deficit alimentare con gli approvvigionamenti in Argentina e Brasile, non a caso subito puniti dagli Usa con la tagliola dei dazi.

Resta da capire per quale motivo Pechino avrebbe compiuto una retromarcia così netta, pur mettendo sul piatto della bilancia la decisione presa ieri dagli Stati Uniti di depennare la Cina dalla black list dei manipolatori di valuta. Una mossa che ha spedito lo yuan ai massimi da sei mesi. Non un cadeau.

Qualche conto non torna, e messo così questo non ha l'aria di essere un accordo win-win. Tanto più se la nazione governata da Xi Jinping si fosse davvero impegnata, compiendo un autentico harakiri, ad acquistare automobili a stelle e strisce. Il mercato cinese delle quattro ruote, per anni un'autentica gallina dalle uova d'oro per le major mondiali, sta vivendo una gravissima crisi la cui plastica rappresentazione è il crollo delle vendite che lo scorso anno ha sfiorato il 10% dopo il calo superiore al 4% nel 2018. Con una domanda a picco, ha qualche senso allargare l'offerta? E quali sarebbero le contropartite, visto che l'ex Impero Celeste comprerà dagli States, sempre secondo la Reuters, anche macchine agricole, semiconduttori e apparecchiature mediche?

Certo, Pechino arriva alla firma in una posizione di debolezza. Uno dei capisaldi della sua economia sta vacillando sotto i colpi di mortaio della guerra tariffaria. Nel 2019 le esportazioni sono infatti cresciute di uno striminzito 0,5% (+10% l'anno prima) e il surplus verso gli Usa è calato dell'8,5%.

Un deal così sbilanciato avrebbe senso solo se la Fase Uno fosse propedeutica alla rimozione di tutti i dazi. O forse c'è dell'altro. Pare che l'accordo non abbatta nessuna delle barriere riguardanti gli appalti e mantenga in vigore le norme sui prodotti e sui sussidi alle imprese statali cinesi con cui sono state tenute fuori dal mercato le aziende statunitensi. Tutto come prima.

Il problema vero è un altro: né oggi, né entro la settimana e forse mai, saranno resi noti i dettagli dell'intesa. L'accordo è di tipo esecutivo, e l'amministrazione Trump non è tenuta a pubblicarne il testo integrale.

Occhio all'asso di cuori.

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